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LA ZIA FRANCESCA

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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />

LOTTA COL DEMONE<br />

Quella notte, per quanti sforzi facessi, non riuscivo a prendere sonno. Fosse il caldo che incombeva<br />

come una nube temporalesca sulla città, fosse il lavoro estenuante della giornata (avevo fatto quindici<br />

visite tra cui due di malati gravissimi) fosse uno di quei particolari squilibri del sistema nervoso che<br />

qualche volta si manifestano con l’insonnia; certo è che mi sentivo come una bussola in mezzo alla<br />

tempesta e continuavo a girarmi e rigirarmi nel letto, senza riuscire a chiudere occhio.<br />

Fantasticavo e, chissà perché, udendo il fischio di un treno, mi venne in mente il diavolo, il demone<br />

notturno dal pie’ di caprone; e tutte le fantasticherie paurose di quando ero ragazzo mi ritornarono in<br />

mente. A volte spalancavo gli occhi e, vedendo nel vano della finestra la vetta del pino dell’aiuola<br />

sottostante ondeggiare con un sibilo diffuso, mi pareva che da un momento all’altro la lunga ombra di<br />

un demone dovesse apparirmi in quel vano, propormi un enigma spaventoso.<br />

Misteriosi fenomeni dell’irrazionale; strane sensibilità che preannunciano le tempeste dell’anima.<br />

Poi, a poco a poco, i miei nervi eccitati si distesero, un sopore inquieto scese, mi avvolse molesto<br />

come la schiuma di un lavatoio, e dalla fantasticheria passai insensibilmente al sonno.<br />

Mi pareva di viaggiare solo, sopra un carro, per una via di montagna. Intorno non un indizio di anima<br />

viva. Il carro saliva per una gola di rocce in mezzo ai boschi, e nell’aria fresca ed energica si<br />

diffondeva, con una sonorità sconcertante, lo squillo del campanello che il mio mulo portava appeso<br />

sotto l’orecchio. Oh, come il vento della notte diffondeva intorno quel suono, come se esso diventava<br />

sempre più acuto, insistente, quasi collerico! Tutta la valle ne era piena.<br />

Ad un tratto mi parve che diventasse così forte, così lacerante che, preso da una paura folle, balzai giù<br />

dal carro e corsi verso la testa del mulo per strappargli il campanello e farlo tacere.<br />

Mi trovai seduto in mezzo al letto, tutto in un bagno di sudore, mentre nel corridoio il telefono trillava<br />

disperatamente.<br />

Mi precipitai all’apparecchio, col cuore che pareva dovesse saltarmi in gola e afferrai il ricevitore.<br />

- Pronto. Parlo col professore Pussini?<br />

- Sì, voi parlate col professore Pussini; e io?<br />

- Professore, sono la signora Molesini. Per carità, venga subito da me. Mio marito è moribondo.<br />

- Oh Dio, signora, mi dispiace! Un minuto che mi vesta e vengo subito – balbettai con voce rauca<br />

ancora tre o quattro volte frasi incoerenti e rimasi nel buio del corridoio con gli occhi sbarrati,<br />

respirando forte, come uno a cui si appiombato sul dorso un getto d’acqua gelata.<br />

I miei pensieri ondeggiavano come quelli di un ubriaco.<br />

La signora Molesini era una donna che avevo conosciuto in campagna, un anno avanti, e della quale<br />

mi ero perdutamente innamorato. Le avevo fatto una corte assidua e appassionata, ma non ero venuto<br />

a capo di nulla, sebbene ella avesse il marito di venti anni più vecchio di lei. I suoi sentimenti religiosi<br />

le impedivano di avere un amico. Me lo aveva detto un giorno fra le lacrime, fissandomi coi suoi begli<br />

occhi funebri di mistica voluttuosa:<br />

- Io vi amo, vorrei essere vostra moglie, ma non sarò mai la vostra amante, specialmente finché sarà<br />

vivo mio marito.<br />

file:///C|/WINDOWS/Desktop/STORIE HTML colorato 418.htm (100 di 114) [03/09/2002 19.26.03]

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