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LA ZIA FRANCESCA

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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />

Quando il biroccio si arrestò davanti alla cappella, molte donne si fecero su gli usci lì attorno, e poi da<br />

ogni casa saltarono fuori frotte di ragazzini, con grossi zoccoli ai piedi e il visino vispo e sudicio.<br />

- Oh, ben venuta la nuova maestrina. Guarda come è graziosa!…<br />

- E le si fecero tutti intorno: le donne con le grosse mani screpolate sul ventre, i bambini tutti ansiosi,<br />

tendendo le braccia come per prenderne possesso attraverso le loro carezze.<br />

La signorina, sebbene fosse meravigliata di quella accoglienza, era raggiante, e un po’ prendeva la<br />

mano di una mamma, un po’ toccava la testa di un bimbo, sorridendo a tutti col suo bel sorriso che<br />

sembrava un fiore sulla bocca.<br />

Poi venne fuori il signor Guarenti, un omone grosso, dalla faccia sanguigna e due buoni occhi paterni.<br />

Le tese una mano pesante come un mattone, e mentre le serrava la sua con vigore, disse al custode,<br />

che poi era un famiglio: - Provvedete la signorina di legna, verdura, uova e burro -. Poi ritornò nella<br />

grande casa colonica, solenne e soddisfatto come un bove che torna alla greppia.<br />

Intanto la signorina Dores, accompagnata dalla moglie del custode, si recò nel suo alloggetto. Aprì la<br />

valigia, mise a posto le sue robe nell’armadio, alcuni libri sopra un tavolino, gli oggetti della sua<br />

toeletta davanti allo specchio, e poi volle scendere giù ancora tra le donne e i bimbi, che non si<br />

stancavano mai di guardarla.<br />

Volle anche visitare le stalle del Guarenti. Che meraviglia! Settanta vacche da latte ruminavano in<br />

fila, alcune in piedi, altre sdraiate su lo strame, dal quale si avventava al naso una esalazione potente e<br />

calda come quella di un forno. In un chiuso, con le narici umide e fumanti attaccate al cancello di<br />

legno, rugliavano alcuni vitelli, grassi, rosei, coi dolci occhi lacrimosi. E poi i buoi da lavoro, grandi<br />

come nuvole, e i cavalli che scalpitavano sul selciato della stalla, con uno sfregiare frequente e<br />

gagliardo. Le sembrava di essere entrata in un mondo nuovo, fantastico, che viveva di una vita<br />

formidabile e benigna, una vita tanto lontana e tanto più feconda di quella nella quale era vissuta lei<br />

fino allora, e che adesso le appariva tanta angusta e artificiale.<br />

Forse l’anno, diceva tra sé, la signorina Dores, non sarà così triste e così solitario come me lo sono<br />

immaginato. È questione di adattarsi. Anche in campagna vi è del bello.<br />

I primi giorni furono alacri, e volarono via come un soffio: il lavoro d’installazione, l’inizio delle<br />

lezioni, la conoscenza dei bambini, i primi lavori scolastici l’assorbirono completamente, senza<br />

lasciarle il tempo neppure di guardarsi intorno. Dopo, la campagna fu stretta dall’autunno, i lavori<br />

rurali incalzarono. La popolazione della cascina era tutto il giorno via per le semine, e la signorina<br />

Dores si trovò come sperduta in quella immensa plaga solitaria, che diventava ogni giorno più<br />

malinconica e più austera nella sua faticosa tristezza.<br />

I campi nericavano dell’aratura recente, i salci e i pioppi perdevano lentamente le foglie, il bosco<br />

vicino aveva preso il colore del croco, e si spogliava lentamente nell’umidore della nebbia che saliva<br />

dai canali. Spesso pioveva col vento, e allora la scuola e la casa della signorina Dores sembravano una<br />

nave che scricchiolasse e grondasse nella tempesta. La signorina Dores, per distrarsi un po’ cominciò<br />

a scendere qualche volta nell’osteria, dove non di rado capitavano turisti di passaggio, per bere un<br />

bicchiere di vin bianco ed acquistare del tabacco; e finalmente si accordò con la padrona per<br />

consumare quivi i pasti cotidiani. Lei si annoiava a farsi da mangiare, e poi non era pratica, mentre la<br />

padrona dell’osteria, che era stata cameriera un tempo in città, cucinava molto bene.<br />

Tutti i giorni così, dopo la lezione, scendeva nella bettola, mangiava rapidamente al tavolo coi<br />

padroni, e poi si metteva a giocare col gatto, o più volentieri col piccino dell’oste, un bimbo grosso e<br />

file:///C|/WINDOWS/Desktop/STORIE HTML colorato 418.htm (66 di 114) [03/09/2002 19.26.02]

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