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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />
Ad un tratto mi provai a rompere quel silenzio opprimente, e vedendo la mia compagna guardare in<br />
alto il turbinio delle stelle, e la via lattea che, come un immenso marezzo, attraversava il cielo da<br />
sud-ovest a nord-est, le mormorai:<br />
- A che pensate?<br />
- A nulla – rispose. – Sono troppo sbigottita. Ho l’impressione di trovarmi a faccia a faccia con Dio.<br />
- È vero – risposi – lo sento anch’io. – E, guardando in alto, mi parve che veramente una divina<br />
presenza riempisse il mondo.<br />
L’AMICO LONTANO<br />
Si scrivevano da circa un anno, ma non si erano mai visti. Lei era insegnante in un paesello di<br />
montagna, a circa mille metri e si chiamava Lisa. E lui? Di lui la signorina Lisa non sapeva quasi<br />
nulla. Sapeva che abitava a Milano, che scriveva libri e che alle sue lettere rispondeva puntualmente<br />
con altre lettere alquanto riservate ma tenerissime, che rivelavano il carattere estremamente buono di<br />
un uomo che non era felice.<br />
Perché non era felice? La signorina Lisa non era riuscita a strappargli nessuna notizia su questo<br />
argomento. Pareva che quel suo misterioso amico lontano evitasse, con una specie di orrore, di parlare<br />
della sua persona e della sua condizione familiare e sociale: e si studiasse invece di mantenere quella<br />
innocente relazione epistolare in un’atmosfera di pura e squisita idealità, dalla quale si proponeva di<br />
non uscire a nessun costo. L’unica cosa che era riuscita a sapere era questa: che egli non era sposato e<br />
viveva solo. La prima a scrivere era stata lei, dopo aver letto uno dei libri più belli dell’ignoto autore,<br />
dal titolo: "Le beatitudini".<br />
In un giorno di malinconia si era fatta coraggio e aveva scritto: A Roberto Marozzi, indirizzando<br />
presso la Casa editrice. Entro la settimana le era pervenuta la risposta, che l’aveva tenuta in una specie<br />
di esaltazione per tre giorni. L’ignoto autore la ringraziava delle sue parole gentili, accettava con gioia<br />
l’amicizia e prometteva di risponderle ancora.<br />
Si era così iniziata una corrispondenza che aveva un po’ mitigato la sua solitudine e riempita la sua<br />
anima di una nuova, ignota felicità. Si scrivevano regolarmente una volta la settimana. La signorina<br />
Lisa scriveva di domenica, lo sconosciuto rispondeva il giovedì.<br />
Le lettere di lui erano tanto belle e affettuose, ma riservate: pareva che il suo amico lontano,<br />
scrivendole, si preoccupasse di non illuderla soverchiamente, di non far sconfinare quella soave<br />
amicizia sul terreno pericoloso e tormentoso dell’amore. Soprattutto non parlava mai di sé: la sua<br />
persona rimaneva relegata in una atmosfera misteriosa, della quale invano ella cercava di squarciare il<br />
velo. Come era quell’uomo, che faceva, come viveva in quella città tumultuosa, in mezzo a tante belle<br />
donne, ai teatri, ai ritrovi mondani? Lisa non riusciva a indovinare nulla, e questo non faceva che<br />
accrescere la sua curiosità di conoscerlo, il desiderio di vederlo e di parlargli. In fondo a questo<br />
desiderio vi era anche un pochino di vanità, una segreta illusione di conquistarlo, di innamorarlo coi<br />
suoi begli occhi azzurri di miosotide, con quel suo viso soave di fata delle Alpi.<br />
A poco a poco questo pensiero diventò tormentoso, occupò tutto il suo spirito, ed allora ella decise<br />
senz’altro di tentare il colpo. Per andare in città aveva bisogno di qualche giorno di vacanza, e poiché<br />
la Pasqua era imminente, decise di farlo durante le vacanze pasquali.<br />
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