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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />
d’accordare l’aggettivo<br />
col suo nome sostantivo<br />
in genere numero e caso.<br />
Ragione per cui il notaro aveva per il canonico una venerazione di discepolo più che di amico.<br />
Quell’anno, dunque, alla vigilia di San Nicola il notaro aveva preparata una bella lettera in stile<br />
fiorito, con diversi e svariati conciossiacché, poi aveva chiamato il suo garzone Bastiano, denominato<br />
anche Carabetto, e gli aveva detto: - Prendi questa lettera e i capponi che ti darà la Domenica, e recati<br />
alla magione del mio molto reverendo amico, il canonico Sansalone, porgendogli i miei saluti e gli<br />
auguri "ad multos annos".<br />
- Va bene signor padrone, - aveva detto il Carabetto, e presa la lettera era entrato in cucina, dove la<br />
Domenica, la serva-padrone del notaro, aveva già legato i tre capponi per le zampe e li aveva appesi<br />
alla spalliera di una sedia. A lui per il viaggio quella strega aveva preparato in un piatto un pane e un<br />
pugno di ulive in salamoia. Il Carabetto aveva intascato malinconicamente il pane e le ulive, si era<br />
caricati i capponi sulla spalla e si era messo in viaggio.<br />
- Pare che ci rimetta del suo – diceva Bastiano mentre andava per la strada nuova.<br />
- Vecchia strega! Se fosse per lei meriterebbe che a questi capponi io tirassi il collo e li mangiassi<br />
anziché portarli al canonico. Chissà come saranno buoni! – A questo pensiero gli venne voglia di<br />
esaminarli e, giacché si era già abbastanza dilungato dal paese, si fermò, calò da su la spalla il<br />
bastone, al quale le tre bestie erano appese, e cominciò a palparle.<br />
Erano veramente magnifici, grossi come paperi, col collo lungo e le piume sottili, irridate intorno alla<br />
testa minuscola. La cresta avevano piccola e pallida, un po’ dentellata, ma il petto e le cosce erano<br />
grassi e morbidi che facevano venire l’acquolina in bocca.<br />
Così sospesi per le zampe con le ali un po’ allargate e ondeggianti, tenevano la testa rialzata e<br />
guardavano intorno con i loro occhi rotondi, che brillavano di una specie di riso stralunato. – Dio che<br />
buon mangiare faranno questi capponi! – diceva Carabetto, e ricordava di averne qualche volta sentito<br />
l’odore nella cucina del notaro, ritornando dalla campagna. La Domenica, seduta davanti alla graticola<br />
con una mano agitava un ventaglio di legno per tener viva la brace, e con l’altra intingeva un<br />
ramoscello di origano selvatico in un piatto dove era una miscela d’olio, acqua sale e qualche spicchio<br />
di aglio; e come il grasso colava sul fuoco, si spandeva intorno un odore appetitoso da risuscitare un<br />
morto. Quando avrebbe mangiato un pezzo di cappone anche lui, povero Carabetto? Forse mai. "Certa<br />
buonagrazia di Dio pare non sia stata creata per i poveri", pensò il Carabetto, e ricaricatisi i capponi<br />
sulla spalla, continuò il suo cammino.<br />
Quando giunse a Paganica, un paesello a mezza strada tra quello che abitava il notaro e quello del<br />
canonico Sansalone, gli venne fame, e pensò di andare da un oste di sua conoscenza, per annaffiare<br />
con un bicchiere di vino il pane e le ulive che gli aveva dato la Domenica. L’oste, appena vide quei<br />
capponi, mise loro subito le mani addosso.<br />
- Dove li porti?<br />
- Dal canonico Sansalone.<br />
- Da parte di chi?<br />
- Del mio padrone, il notaro Pantaleo.<br />
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