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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />
spasmodica, la terribile contrazione che egli ben conosceva, gli attanagliò le mascelle. Traballò,<br />
precipitando verso l’orlo della barca, strinse il bambino convulsamente sul petto, e piombò come un<br />
ubriaco nell’acqua. Il cane, disorientato, gittò nel vento due o tre latrati furiosi, spiando il luogo nel<br />
quale era sparito il padrone, poi si tuffò in acqua e disparve anche lui.<br />
Quando il sole spuntò sulla cima di Pendimeli, Nannina avvolta in uno di quei suoi scialli di lana<br />
azzurra che la facevano tanto graziosa quando andava a messa, arrivò trafelata sul molo, e si provò a<br />
scendere nella paranza di Veccia; quando starnutendo, intirizzito, col lungo pelo gocciolante, le corse<br />
incontro il cane che veniva da in fondo al molo. Le scodinzolava intorno guaendo, la guardava coi<br />
dolci occhi color d’agata, poi correva verso la lanterna, balzava tra i massi, e scompariva, per<br />
ricomparire ancora latrando e scodinzolando.<br />
Nannina, tutta smarrita e disorientata, lo seguì tra i massi di calcestruzzo, e ai piedi di uno di essi, che<br />
guardava verso la costa siciliana, vide…<br />
Vide una specie di fagotto scuro tra l’acqua e l’arena.<br />
Veccia, raggomitolato nella terribile contrazione del morbo sacro, dormiva col suo bimbo in braccio.<br />
Un lieve ondeggiamento qualche volta gli diffondeva intorno una frangia di schiuma.<br />
<strong>LA</strong> RAGANEL<strong>LA</strong> DI SAN PASQUALE<br />
L’ultima macchina dei fuochi d’artificio, una pittoresca macchina di canne e di razzi, rappresentante<br />
qualche cosa tra la facciata della chiesa romanica e il castello medievale, si disfaceva sgretolandosi<br />
con uno sfrigolio d’incendio e soffiando verso il cielo di un bell’azzurro notturno gli ultimi fasci di<br />
scintille, quando Lisabetta, salutati i parenti che si godevano lo spettacolo da sopra un poggiolo, si<br />
ritirò nella sua camera, chiuse la finestra e s’inginocchiò davanti una cassa per dire le orazioni della<br />
sera.<br />
Recitò così l’Angelus, indi alcune avemarie, ma fu subito distratta dagli ultimi clamori della festa. I<br />
contadini, con fischi acutissimi, assaltavano la macchina già spenta per impossessarsi dello spago<br />
incatramato che teneva insieme le canne dell’impalcatura; la musica aveva intonata una canzonetta<br />
sopra un motivo di tarantella, e molte voci cantavano sulla piazza.<br />
Lisabetta si distrasse: la preghiera le morì sulle labbra, mentre la sua mente veniva occupata da nuovi<br />
solleciti pensieri. Appoggiò i gomiti sulla cassa, il viso alle palme, e con gli occhi fissi alla fiammella<br />
del lume ad olio che tremolava, esalando un sottilissimo filo di fumo sulla punta aguzza, si mise a<br />
fantasticare.<br />
Il tedio della festa aveva assalita la giovane e bella vedova prima che annottasse. Dopo la morte di suo<br />
marito avvenuta appunto in quel mese, allora faceva un anno, ella non aveva più preso parte neppure<br />
alle solennità religiose; si era isolata e passava il suo tempo sfaccendando in casa, tessendo al telaio e<br />
pensando al morto. Quel giorno la prima volta, per cedere alle insistenze del suocero e di un cugino<br />
venuto da San Luca per la fiera di San Vito, si era recata alla messa grande, aveva visitato il mercato,<br />
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