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LA ZIA FRANCESCA

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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />

Anche quel poco di campagna che vediamo nei parchi e nei giardini pubblici non basta a suggerire il<br />

sentimento reale e profondo del rinnovarsi della natura.<br />

Quelle aiuole pettinate e regolari, coi fiori messi in ordinanza come le comparse sopra un<br />

palcoscenico, e coltivati in forme geometriche – ad arabeschi, a circoli, a triangoli, simmetrici –<br />

quegli alberi belli e inutili piantati lungo i viali come gli ombrelloni sulle spiagge, gli ippocastani coi<br />

loro fiori a grappolo, eretti fra le grandi foglie e ordinati come le candele di un lampadario<br />

ottocentesco, più che di un fenomeno spontaneo, danno l’idea di una primavera artificiale. Si direbbe<br />

quasi che nella esposizione di verde e di fiori, sia uno spettacolo che ai cittadini prepara<br />

l’amministrazione comunale, come la Fiera Campionaria e, una volta, la festa dello Statuto.<br />

Non vi è nulla da meravigliarsi perciò, se a furia di allontanarci dalla vera natura, noi cittadini<br />

abbiamo smarrito quel senso panico e sacro, che gli antichi attribuivano al ritorno della primavera e<br />

che avvertono ancora solo gli uomini di campagna.<br />

Di questo ritorno gioioso e improvviso io ebbi l’altro ieri quassù la sensazione quasi fisica.<br />

Si sa che in montagna la primavera è tardiva, ma in questa dove io mi trovo, l’inverno appare ancora<br />

più squallido, in quanto la vegetazione è di quella che perde interamente le foglie. Le pendici qui<br />

intorno sono coperte quasi esclusivamente di larici e più in giù di betulle e di frassini.<br />

Quando io vi giunsi, gli alberi tutti del color della ruggine, si profilavano coi loro rami spogli sul cielo<br />

sereno, come nel disegno di una robusta acquaforte. I torrenti, i lotti delle cascatelle, che d’estate<br />

riempiono con un chiacchiericcio così delizioso le pendici boscose, erano secchi e muti.<br />

Il fiume nel fondo della valle, con le ossature scoperte del suo greto seminato di pietrosi enormi,<br />

levigati e incavati a cotila, di un verdognolo funerario, era desolato e solitario come una via maledetta.<br />

La terra sembrava proprio in lutto. Per ore e ore non si levava intorno una voce, non si udiva cantare<br />

un uccello.<br />

Verso i primi di Aprile cominciarono a spuntare sui prati ancora completamente gialli alcuni fiori<br />

delicati. Era l’aconito quello stesso fiore velenoso, che avevo lasciato nello scorso autunno, con<br />

questa differenza: che l’aconito dell’ottobre era violetto e questo è bianco come la zagara. Ha un<br />

gruppetto di pistilli dorati in fondo al calice che, a guardarli dall’alto, danno l’immagine di un lumino<br />

acceso, di uno di quei lumini senza fiamma, che ardono accanto a Gesù morto nel Santo Sepolcro.<br />

La primavera pareva non dovesse venire mai.<br />

Ma improvvisamente l’altra mattina un rombo diffuso si rovesciò dalle cime sulla valle, l’animò tutta<br />

di un fremito enorme.<br />

All’alba la mia casa vibrava come una campana percossa, le finestre e gli usci si misero a tremare e a<br />

bisbigliare, con quelle curiose voci che sembrano un discorso premuroso e segreto degli spiriti<br />

familiari.<br />

Cigolavano sospiravano, mandandosi l’un l’altro attraverso gli anditi i loro misteriosi scricchiolii,<br />

come se dovessero comunicarsi un annunzio festoso.<br />

Destato da tutto quel clamore, balzai giù dal letto e, in vestaglia, mi affacciai sul balcone: un balcone<br />

di legno, che cigolava anch’esso come il ponte di una barca assalita dalle onde.<br />

Un vento fragoroso era sceso dalla parte del Tremoggia prima che apparisse il sole e, spettacolo<br />

curioso, portava sulle ali, piccoli fiocchi di neve, che vagavano nell’aria mossa come delicati petali di<br />

file:///C|/WINDOWS/Desktop/STORIE HTML colorato 418.htm (47 di 114) [03/09/2002 19.26.01]

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