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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />
Alcune api selvatiche ronzavano presso i sostegni, intorno ai loro bugni terrosi e, attraversando le liste<br />
luminose brillavano come faville.<br />
Serafina, la figlia del vecchio Rocco, che lo vegliava davanti allo stramazzo, seguiva con una specie<br />
di sgomento panico le vicende di quella interminabile agonia. A tratti pareva che la vita del povero<br />
agonizzante si arrestasse.<br />
Il suo petto si placava immobile; gli occhi inondati di un liquido sieroso si aprivano lentamente senza<br />
sguardo; il naso affilato e reso trasparente dal riverbero intenso della luce, si ergeva in mezzo al viso<br />
come un’appendice estranea e macabra, e la bocca fuligginosa, in cui apparivano tre o quattro<br />
mozziconi di denti, prendeva quell’espressione di misterioso patimento, che caratterizza la maschera<br />
dei trapassati.<br />
"È morto?" – si chiedeva la Serafina sbigottita. E per assicurarsene, gl’insinuava la mano nell’apertura<br />
della camicia, cercando il petto dalla parte del cuore. Sembrava proprio morto.<br />
"O patri meu!" cominciava a piagnucolare la Serafina, con un incoercibile senso di liberazione; e si<br />
alzava per andare a chiamare il marito, che vangava nell’orto. Ma ecco che il petto del vecchio si<br />
sollevava come un’onda, e il rantolo riprendeva con un ritmo implacabile.<br />
Allora la giovane si accasciava in preda a un vero terrore, e rompeva in una invocazione disperata: - O<br />
Dio, Signore, perché lo fate soffrire tanto, così a lungo? San Giuseppe benedetto, protettore della<br />
buona morte, aiutatelo voi a rendere l’anima in pace!<br />
Verso mezzogiorno passò di lì il medico. Entrò nella capanna, si curvò sulle gambe e prese il polso<br />
del vecchio, ascoltando il rantolo crepitante che gli usciva dalla gola. "Dottore – chiese la donna – con<br />
una ingenuità quasi astiosa – sono quasi tre giorni ch’è in agonia e il Signore non se lo prende.<br />
"Il Signore non ha fretta" – disse il medico. "Ma perché soffre tanto dottore?". Il medico accennò<br />
appena un sorriso superficiale: "Non vedi che macchina?" e allargò l’apertura della camicia sul petto<br />
del malato.<br />
Quel petto coperto sullo sterno da un pelame grigio ed ispido come limatura di ferro, si sollevava e si<br />
abbassava con un ritmo poderoso, mostrando la curva e l’annodatura delle costole forti come le<br />
vertebre di un cavallo. Sulle clavicole dalle infossature profonde, il collo era incordonato da rughe<br />
grosse come panneggi, sotto le quali si vedeva fluire, a pause regolari il ritmo del sangue. "Un<br />
organismo come questo – continuò il medico – dà del filo da torcere anche alla morte. Ma la sua ora è<br />
venuta. Non c’è niente da fare.<br />
Inumidiscigli ogni tanto le labbra con acqua e aceto molto allungato, e lascialo tranquillo. Piuttosto<br />
perché lo tenete in questa capanna? Portatelo fuori, all’aperto, sull’aia sotto quel carrubo. Morirà più<br />
sereno, povero vecchio!<br />
Appena il medico se ne fu andato, il malato venne trasportato sull’aia e adagiato all’ombra di un<br />
maestoso carrubo, sopra una duna di paglia, che, sotto la luce intensa del giorno estivo, brillava come<br />
un letto d’oro.<br />
Appena all’aperto il vecchio aprì gli occhi, e le sue labbra si rimisero a farfugliare parole<br />
incomprensibili. Pareva che ascoltasse e parlasse col coro immenso della campagna circostante.<br />
Il caldo era soffocante. Dai campi intorno, screpolati dall’arsura sparsi di cardi, di cicute, di silique,<br />
vaporava un alito afoso che velava le lontananze; e tutti gli alberi, dagli arbusti, dai peri, dai ciliegi in<br />
mezzo alle vigne, dai lentischi e dai ginepri sparsi per le terre, si levava un canto interminabile.<br />
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