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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />
parlava vertiginosamente, si muoveva tutta, e quando ballava quel suo corpicciolo esile e snodato<br />
acquistava la grazia e la leggerezza di un uccello. Si chiamava Concettina, ma gli studenti la<br />
chiamavano Nerina, anzi suo padre la chiamava il merlo, per via delle gambette esili e sempre calzate<br />
di nero.<br />
Entrare in quella sala da ballo, vedere la signorina Panella (così si chiamava il maestro) ed<br />
innamorarsene a fuoco, fu per il mio amico Palumbo tutt’uno. Pensate! Avvicinare una donna, tenerla<br />
fra le braccia, muoversi con lei in ritmo di danza! Ma queste erano le ardenti fantasie del seminario,<br />
che salivano in cielo coi canti del mese mariano, i sogni deliziosi della prima pubertà, o una realtà<br />
vivente?<br />
Insomma i due ragazzi finirono con l’intendersela a dovere, e quando potevano nella sala, attraverso<br />
le porte, su per la scala, si davano dei baci che sembravano morsi. Ma era così poco! I contatti erano<br />
così brevi e spauriti, che lasciavano un desiderio più ardente e divorante di prima. Come fare per<br />
trovarsi insieme una mezz’ora soli, senza fretta, per potersi dire qualche parolina di più, stringersi<br />
forte a lungo? Sarebbe stato così bello e perché no? Anche innocente. Non vi è nulla di più innocente<br />
che l’amore.<br />
Un giorno il mio amico Palumbo, tra un giro di valzer e una quadriglia, lasciò scivolar nella mano<br />
ardente della signorina Panella un bigliettino, nel quale le esprimeva questo acceso desiderio. Il giorno<br />
dopo Nerina gli consegnò nelle stesse condizioni un altro biglietto su cui erano scritte queste terribili<br />
parole: "Cuore mio, non è possibile!…".<br />
Palumbo più che mai inebriato da quel "cuore mio", tornò alla carica e finalmente venne fissato un<br />
convegno strabiliante.<br />
L’ultimo bigliettino della signorina Panella diceva: "Ti attendo domenica (era venerdì) a mezzanotte,<br />
nella mia stanza. Per salire darai cinque lire a Zumbo, quello che accende i lampioni, perché lasci la<br />
scala nel cortile. Ti bacio. Nerina".<br />
La signorina Panella, con quella adorabile preveggenza che hanno le donne, aveva pensato a tutto.<br />
Palumbo si stropicciò un po’ gli occhi leggendo quel biglietto, perché in un primo tempo credette di<br />
non aver compreso bene. Poi si precipitò per il corso in cerca di Zumbo.<br />
Zumbo era un povero diavolo d’età indefinita che il giorno vendeva giornali, e la sera trottava per le<br />
strade, con in collo una scala per accendere i lampioni a gas della città. Lo incontrò con un mazzo di<br />
copie del "Mattino" che gridava come un energumeno: "U Mattino… u Mattino… un articolo di<br />
Tartarin".<br />
Zumbo era un bravo ragazzo anche lui che conosceva il mondo e non si fece pregare a lungo. Fece<br />
aggiungere un altro scudo a quello che gli era stato offerto e lasciò la scala nel cortile.<br />
Il mio amico Palumbo attese la mezzanotte di domenica, come una giovane sposa attende la prima<br />
notte nuziale.<br />
Si recò al concerto della musica cittadina ai giardini pubblici, poi scese in via Marina e mangiò, così,<br />
tanto per fare qualche cosa, due dozzine di fichi d’india, una fetta d’anguria e dello zibibbo: poi si<br />
mise a passeggiare sopra una di quelle soggette che davano sul mare, sospirando, recitando versi e<br />
spiando di quando in quando il cielo, come fosse stato un quadrante d’orologio. – Oh, Dio degli<br />
innamorati, la mezzanotte, fate suonare la mezzanotte!<br />
Finalmente anche la mezzanotte scoccò dall’orologio del duomo, aggrondata, solenne, come il grido<br />
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