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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />
- Nannina, hai pensato a quello che ti ho detto oggi?<br />
- Sì, ci ho pensato, rispose la ragazza, e poiché sotto l’influsso del vino tracannato era presa da un<br />
ardente desiderio, gli passò un braccio intorno al collo. Veccia la serrò nelle braccia e la baciò sulle<br />
guance sussurrandole amorosamente: "Piccolina mia, perché non vieni con me? Io ti farò stare come<br />
una signora; nulla ti mancherà, quanto è vera la Madonna della Consolata".<br />
- Sì, sì…, faceva Nannina abbandonandosi; sposami subito, sono stanca di far questa vita che faccio.<br />
Veccia ebbe un tremito. Staccò da sé violentemente la donna e le chiese accigliato.<br />
- Ma dimmi, Nannina… per l’anima tua, sei proprio stanca? Se ti prendo con me farai il tuo dovere?<br />
- Sì… sì… ripeteva macchinalmente la ragazza abbiosciandosi su lui… sono tanto stanca… tanto…<br />
tanto… tanto… - e si mise a singhiozzare.<br />
Veccia oppresso e smarrito la strinse ancora, e come la donna gli si abbandonava inerte, la prese in<br />
braccio e la portò di peso nella barca.<br />
Per la festa di mezzagosto Veccia e Nannina erano sposati.<br />
Nella casa a Reggio Campi Nannina era diventata una mogliettina adorabile, premurosa, pulita; aveva<br />
portato nella vita di Veccia un profumo di giovinezza a lui sconosciuto.<br />
Veccia diventava casalingo, e l’amore della donna andava gradatamente sostituendo in lui l’amore<br />
della barca e delle solitudini marine. Attiguo alla casa, ad oriente, Veccia aveva un orto, che quando<br />
egli era solo, non si era mai curato di coltivare. Due peschi, un mandorlo, un susino e due piante<br />
d’arancio crescevano quasi inselvatichiti, tutti avvampati e divorati da una miriade di rami secchi e di<br />
polloni stenti.<br />
Verso il declinare dell’inverno li potò e con essi potò e foggiò a pergola una vite maestosa di uva di<br />
Lipari. Poi dissodò il terreno, piantò lattughe, agli, cipolle, e per la prima volta in vita sua, dopo avere<br />
per tanti anni amata la grazia e la fioritura mutabile delle schiume, sentì di amare la terra e la<br />
primavera.<br />
Dopo un anno, verso la fine di marzo, Nannina ebbe un figlio; un bel bambinone grosso e roseo come<br />
un bocciolo di rosa. La felicità nella casa di Veccia fu grande, e grandi furono le feste; tanto che i<br />
vicini, malignando sul passato di Nannina, brontolavano: "Che forse è nato il principe ereditario? Chi<br />
sa quanti padri avrà quel piccino. È tanto bello! Possibile che un tappo di sughero come Veccia, con<br />
quella sua faccia corta e rincagnata, potesse mettere al mondo un figlio così?".<br />
Ma erano tutte dicerie senza consistenza, e i primi ad esserne persuasi erano quelli che le mettevano in<br />
giro.<br />
Nannina, da quando si era messa con Veccia, era diventata lo specchio delle amanti. Della sua antica<br />
vita non le rimaneva che una leggera ed istintiva civetteria nell’abbigliarsi e nel trattare. Per il resto la<br />
vecchia Nannina pareva morta per sempre.<br />
Ora le piaceva vedersi nella sua buona casa tutta sua, messa con una certa eleganza, con le tendine<br />
stirate, i garofani e l’origano alla finestra, il grande armadio a specchio, nel quale essa amava<br />
contemplarsi tutta dalle scarpe ai capelli, il letto con il lenzuolo di tela d’Olanda, che sul risvolto<br />
portava, entro una ghirlanda di ricami, l’augurio: "buon riposo".<br />
Aveva tutto quanto era necessario, ed anche qualche cosa di più.<br />
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