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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />
Migliaia di cicale frinivano a distesa, riempiendo l’aria di una musica così vasta che finiva col non<br />
avvertirsi più, come non si avverte nelle officine il rombo delle macchine, quando gli orecchi vi si<br />
sono assuefatti. Sotto quel coro maestoso il vecchio parve rianimarsi e diventare inquieto.<br />
Le sue grandi mani incominciavano a contrarsi, e dalla gola gli usciva ancora, a pause, con forza il<br />
grido che incitava i buoi: "Oh… Massà… oh Livanè.<br />
Nel suo delirio egli si vedeva ora davanti una pianura sterminata come il cielo, tutta sparsa di cicute,<br />
di cardi e di silique che cantavano nel vento. Oh come cantavano, con la voce di tutte le cicale, di tutti<br />
gli uccelli, quelle siliquie, quei baccelli di lupini a punta, che foravano le mani e portavano dentro il<br />
seme bianco e amaro!… Egli, il vecchio Rocco, ottantenne, era sul limitare di quella pianura, nel<br />
paese misterioso della morte. Erano tre giorni che si era messo in cammino per raggiungerla, perché la<br />
sua ora era venuta; ed ora che l’aveva raggiunta stanco, trafelato, con la bocca arsa e le gambe rotte,<br />
ora doveva afferrare in mano la stiva e ararla tutta quella pianura, con solchi interminabili fino al<br />
confine del cielo, fin laggiù dove il mare appariva come immenso campo di lino fiorito.<br />
Aveva tanto lavorato nel mondo, povero vecchio! Da quando aveva quindici anni non aveva fatto altro<br />
che rivoltare la terra, con la vanga e con l’aratro, rompere le zolle in tutte le stagioni. – Mi riposerò<br />
quando sarò morto – diceva tra sé, la sera lasciando il lavoro, mentre si faceva il segno della croce con<br />
le mani intrise di terra.<br />
Ed ecco invece che anche nel mondo di là gli toccava arare, curvarsi sul solco in eterno, aprire con<br />
l’aratro la pianura che gli stava davanti senza fine.<br />
Oppresse dalla luce intensa le sue pupille semispente vedevano sulla sua testa come una grande<br />
nuvola scura, e oltre quella nuvola un cielo uguale, grigio come il cielo di ottobre, quando tra le siepi<br />
spittinisce il pettirosso e la lumaca esce sul sasso a cercare l’ultimo sole. Egli doveva arare, ma i buoi,<br />
dove erano i buoi? Non aveva buoi e non si vedevano in nessun luogo su quella pianura grigia e<br />
interminabile, tutta sonora di silique e di cardi che cantavano al vento.<br />
- O Massà!… O Livanè!… - Le sue labbra con ira ed angoscia bisbigliavano l’incitamento consueto e<br />
le sue grandi mani si contraevano nell’atto di afferrare la stiva.<br />
La figlia Serafina lo vegliava terrorizzata. Quell’agonia interminabile le appariva adesso come un<br />
castigo divino. Tutti i terrori delle credenze popolari le venivano in mente, le argomentazioni speciose<br />
delle fattucchiere, quelle degli isterici che presumono di parlare coi morti e si spacciano come<br />
interpreti del loro mondo misterioso.<br />
Nella sua fanciullezza ella aveva sentito parlare di codeste lunghe agonie, di peccati che legavano<br />
l’anima al corpo con vincoli che non potevano essere sciolti, se non da formule magiche o da<br />
espiazioni rituali.<br />
Che a suo padre pesasse sull’anima un simile peccato, una di quelle infrazioni al corso maestoso<br />
dell’ordine naturale, i cui effetti sono inesorabili come quelli delle leggi meccaniche? O non piuttosto<br />
il vecchio aveva contravvenuto ad uno di quei riti casalinghi che santificano le stagioni, il ritmo<br />
ineffabile della fioritura e della fruttificazione, a cui presiede una specie di mitologia tra angelica e<br />
demoniaca, che ricorda quella degli antichi lari? E se così fosse chi avrebbe liberato il morente dal<br />
castigo divino?<br />
A un tratto le balenò alla mente un dubbio. Forse il vecchio, durante la sua vita, aveva bruciato un<br />
giogo, l’arnese sacro dell’aratura, quello che nell’aratro rappresenta ciò che sono le braccia della<br />
croce.<br />
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