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LA ZIA FRANCESCA

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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />

Scese le scale quasi senza vedere. Aveva il volto in fiamme. Il sangue le batteva alla tempia come un<br />

pugno e la sua gola era stretta da un prepotente, incontenibile bisogno di piangere. Afferrò la borsetta<br />

di cuoio, che stava appesa nel corridoio, ed evitando le sue compagne, uscì sul piazzale. Imboccò di<br />

corsa il viale.<br />

- Perché non mi ha baciata – diceva tra sé, oppressa da un sentimento inesprimibile – perché non mi<br />

ha baciata? E come si accorse di essere sola sotto gli ippocastani, sedette sopra una panca, e si mise a<br />

singhiozzare silenziosamente, come se avesse perduta una persona cara, la più cara cosa della vita<br />

LE DUE MADRI<br />

Quando il direttissimo Milano-Sarzano-Roma, in viaggio da oltre 10 ore entrava negli acquitrini della<br />

campagna romana, spuntava l’alba.<br />

Angelica, che nello scompartimento di seconda occupava un posto d’angolo dal lato del mare,<br />

vedendo il barlume del giorno che trapelava attraverso le tendine, stropicciò col lembo di una di esse<br />

la lastra del finestrino tutta opaca di vapore e guardò fuori sulla campagna.<br />

Oltre la linea ferrata, vide una serie di minuscoli stagni in cui si specchiava l’ultimo crepuscolo, poi il<br />

mare grigio, immobile al largo, che rotolava verso la riva con calma onde lunghe e fievoli senza<br />

schiuma. Più lontano ancora l’acqua razzava accesa dai riflessi di un fascio di nuvole rosse, che si<br />

sgretolavano alla base in un arcipelago di piccole isole abbaglianti come oro fuso. Riabbassò la tenda<br />

e richiuse gli occhi come ascoltare dentro di sé il ritmo agitato del suo sangue.<br />

Era vicina a Roma ormai, fra un’ora o poco più sarebbe scesa alla stazione, avrebbe presa una<br />

carrozzella e col suo bambino in braccio si sarebbe presentata a lui. Una specie di sgomento che aveva<br />

il sapore della speranza, e questa speranza le veniva dal bambino.<br />

Ella credeva ciecamente nell’influenza irresistibile del figlio in quella faccenda. "Potrebbe darsi che<br />

per me non si commuova – diceva tra sé – noi povere donne per gli uomini non siamo che capriccio<br />

del momento: ma di fronte al figlio nato dal suo sangue, che gli somiglia in modo così impressionante,<br />

perfino nel modo di muovere le mani e nell’atteggiare le labbra al sorriso, di fronte a lui non è<br />

possibile che egli resista e la pace sarà fatta. Io potrò stringermi al petto il mio uomo interamente<br />

riconquistato alla mia vita e al mio amore".<br />

Il bambino, raccolto in uno scialle di lana dai disegni scozzesi, le dormiva sulle ginocchia di quel<br />

sonno pesante ed immemore, che è proprio degli innocenti. Le gambette un po’ divaricate, un braccio<br />

penzoloni, bianco come un grappolo di fiori d’acacia, le lunghe ciglia calate sugli occhi e la boccuccia<br />

semiaperta.<br />

I bambini sono quasi tutti belli, ma quello lo era in un modo singolare. Aveva le guance rotonde,<br />

leggermente animate di roseo e l’espressione del viso un po’ corrucciata; quell’espressione misteriosa<br />

di serietà che hanno certi volti infantili e che dà alla loro fisionomia una significazione illogica e<br />

l’attrazione particolare che hanno le cose incomprensibili.<br />

Angelica lo guardava e il suo cuore si gonfiava di speranza.<br />

Il tepore fine di quel corpicciolo fragrante le inondava il grembo, le saliva alla gola simile ad una<br />

corrente di latte, come se il suo piccino ridonasse a lei, ridiffondendolo, il calore che da lei aveva<br />

succhiato e che aveva formato la sua rosea carne.<br />

file:///C|/WINDOWS/Desktop/STORIE HTML colorato 418.htm (75 di 114) [03/09/2002 19.26.02]

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