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LA ZIA FRANCESCA

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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />

DA PARTE DEL NUDAR<br />

A tavola normalmente eravamo in quattro, e siccome mettevamo in subbuglio tutto il salone<br />

dell’albergo con la nostra allegria, ci chiamavano la compagnia della Scarampola.<br />

Prima di tutto bisogna che io vi presenti i miei compagni: ne vale la pena. Il presidente perpetuo della<br />

Scarampola era un maggiore di fanteria a riposo: bellissimo uomo, alto, aitante e decorativo come il<br />

portiere di un principe romano. Somigliava un poco all’attore Andrea Maggi buonanima, ed aveva<br />

come lui, una bella voce sonora ed autoritaria, a cui egli sapeva dare delle modulazioni da vecchio e<br />

impenitente amatore. Rimasto scapolo, col fascino della persona e della divisa e con una galante<br />

aggressività da moschettiere egli aveva in tutta la sua vita conosciuto un numero straordinario di<br />

donne di ogni condizione e di ogni paese, di modo che la sua testa era un casellario di ricordi, di fatti,<br />

e di avventure noi stavamo ad ascoltarlo estatici, perché, fra le altre cose, narrava bene, con foga<br />

immaginosa e con un certo gusto letterario, che gli veniva dalla lettura di innumerevoli romanzi.<br />

Magari una buona metà delle sue prodezze amatorie erano inventate ma egli le viveva talmente<br />

narrandole, che noi trovavamo gusto considerarle come vere, e ci tenevamo a farglielo credere. Solo<br />

uno di noi, un certo Segre, professore di scuole medie qualche volta, dopo uno di questi spettacolosi<br />

racconti di seduzione, diceva al maggiore con tutta serietà: "Ecco noi ci crediamo, purché tu non vada<br />

a dire in giro che ci abbiamo creduto". E la cosa finiva in una risata cordiale alla quale il maggiore<br />

prendeva viva parte.<br />

Altro tipo meraviglioso era Segre. Piccolo, mingherlino, secco e giallo come un ficuzzo colpito dallo<br />

scirocco, con una grossa testa, un naso aquilino, era uno degli uomini più arguti e bizzarri che io abbia<br />

conosciuti. In lui pareva si fossero dati convegno, per fondersi, lo spirito di Voltaire e quello di Enrico<br />

Heine. La sua conversazione era irresistibile: egli trovava il lato ridicolo di ogni cosa con una abilità<br />

sorprendente, ed era assolutamente impossibile stare un quarto d’ora con lui senza lasciarsi prendere<br />

dal giuoco di artifizio delle sue freddure, delle sue arguzie taglienti e pittoresche. Era il brillante della<br />

compagnia e lo tenevano prezioso come un impareggiabile dispensatore di buon umore che egli era.<br />

Il terzo non era, nel suo genere, meno interessante degli altri due. Era uno di quei meridionali che<br />

vengono dalla piccola borghesia, si laureano ordinariamente in legge, e poi entrano in un impiego<br />

governativo, mortificando nella malinconia della carriera burocratica i più ambiziosi sogni letterari.<br />

Ne ho conosciuto più d’uno di questi giovani. Ordinariamente sono dei malinconici, timidi con le<br />

donne, nonostante i loro arroventati desideri, scrivono delle poesie, e invecchiano emarginando<br />

pratiche e sospirando alla gloria, una povera gloria di cartone. Vestono con ricercatezza, quando sono<br />

scapoli fanno cena con caffè e latte, vanno di sera nei viali solitari per smaltire un cartoccio di<br />

caldarroste e fanno credere che ci vanno ad un convegno amoroso; e quando escono a passeggio<br />

corrono dietro a tutte le donne che incontrano, come certi cani randagi senza padrone. Il nostro<br />

compagno di tavola, aveva tutte queste qualità ed altre ancora. Era giovane sui trenta anni, portava<br />

una folta barbetta nera e crespa come un cespo d’insalata, vestiva in modo eccentrico, con calzoni<br />

stretti, ghette bianche, gilet fantasia e un tubino color cammello, per il quale il nostro Segre gli aveva<br />

affibbiato il nome di Don Portogallino. Ma la sua specialità, erano le cravatte. Credo ne avesse una<br />

cinquantina tra le più eccentriche e bizzarre del mondo.<br />

Se il maggiore si accendeva e diventava eloquente quando parlava di donne, il nostro Monga, così si<br />

chiamava, si trasformava in un Bossuet quando parlava di cravatte; anzi intorno a questo accessorio<br />

ornamentale aveva costruita una sua propria teoria dell’eleganza. Per lui la cravatta era il solo<br />

indumento che denunziava l’uomo fine. Il buon gusto, la spiritualità, la distinzione di una persona si<br />

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