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LA ZIA FRANCESCA

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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />

Sono scalzi, scapigliati, con le camicie a brandelli, i visetti all’erta tatuati dal sole ardente del Sud. I<br />

loro occhi hanno quel colore strano, tra il giallo e il verde, che hanno gli occhi degli animali da preda,<br />

in agguato tra i canneti. Quando si chiamano fra loro: Cicciarè, Petricè, Rocchicè, Peppinè –<br />

sembrano galletti di primo canto. Nei loro discorsi passa la vita di tutto il paese. Accosciati sulla<br />

piattaforma aerea della Pietra di Febo, quando il sole ascende verso la cima del campanile, iniziano il<br />

loro cicaleccio. Sono in quattro.<br />

Dice Cicciarè, che si è sdraiato con la pancia sul sasso: - Senti com’è caldo? Sembra un pane uscito<br />

dal forno. Mi ristora lo stomaco ch’è vuoto.<br />

- Non hai mangiato – chiede Petricè?<br />

- Peuh!… un tozzo di pane stamattina, quando mia madre è partita per la campagna.<br />

- Prendi. E Petricè gli porge una manata di drupe di mandorle ancora tenere.<br />

Gli altri due tendono le mani: - E a noi niente?<br />

- Oh… ragazzi! Non ne ho più; una ciascuno.<br />

- Dove le hai rubate? Chiede abbassa voce Peppinè.<br />

- Nell’orto di Don Mico Surino…<br />

- Se ti coglie, quel lupo ti ammazza.<br />

- Bravo! e io mi lascio cogliere!… Conosco le sue abitudini. È sempre nella bettola di Romeo. Ieri<br />

giuocava a carte, vinceva e beveva, beveva, si metteva le dita in gola e vomitava, e riprendeva a bere.<br />

Era pallido, con quella faccia da pane cotto sotto la cenere e balbettava sbavando. Che porco! Allora<br />

sgusciai fuori dalla bettola, entrai nell’orto e mi arrampicai sul mandorlo. Non ho ancora allungata la<br />

mano che quasi mi viene un accidente; una voce acutissima si leva dalla casa di fronte: "Assassino,<br />

brigante… in galera a vita mi tiene, ahaa!".<br />

"San Francesco di Paola diletto…".<br />

Era la pazza di donna Marietta, la moglie di Don Micu, stavo per scappare. Ma poi mi ricordai ch’è<br />

chiusa a catenaccio e che non poteva vedermi. Anche gli scuri delle sue finestre sono inchiodati.<br />

- Poveretta, è al buio tutto il giorno. Delle volte canta, delle volte bestemmia come un giudeo.<br />

L’immagine della pazza diffonde un senso d’angustia fra i ragazzi. Segue un breve silenzio. Grandi<br />

nuvoloni bianchi passano nell’aria. Poi Rocchicè estrae dalla tasca una manata di bottoni e propone: -<br />

Vogliamo giuocare?<br />

Cicciarè fra i bottoni vede una specie di straccetto minuscolo, arrotolato su se stesso, di un colore<br />

indefinibile. Allunga la mano.<br />

- Che… briscola! Son due lire, sai?<br />

- Chi te le ha date?<br />

- Don Peppino…<br />

I ragazzi si guardarono in silenzio; poi uno azzarda una domanda scabrosa: - Don Peppino tuo padre?<br />

- E che ne so io… una volta mi minacciò di tagliarmi la testa se dicevo quello.<br />

file:///C|/WINDOWS/Desktop/STORIE HTML colorato 418.htm (42 di 114) [03/09/2002 19.26.01]

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