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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />
Ella lo aveva fissato con uno sguardo che pareva dicesse: domandami quello che vuoi, lo farò.<br />
"Solo vorrei che tu mi ricordassi qualche volta dopo morto. Ci siamo voluti tanto bene, e ci separiamo<br />
così presto…".<br />
"Ascoltami:" aveva detto Lisabetta "facciamo un patto. Tu promettimi che dopo morto mi verrai di<br />
quando in quando a visitare".<br />
"E come?" disse lui con un amaro sorriso.<br />
"Come? Nel modo che Dio ti consentirà. A me basta un segno qualunque. Non vivono i nostri morti<br />
con noi in mille modi? Vienimi in sogno, svegliami col rumor di un tarlo, diventa un passero, un’ape,<br />
insomma quel che Dio vorrà, e fa che io t’avverta. Così potrai constatare da te se io ti ricordo e ti<br />
penso anche dopo che sarai morto".<br />
Il malato rifletté un istante, con una strana luce negli occhi febbricitanti, poi disse:<br />
"Sì, chiederò al Signore che mi consenta di farmi sentire da te col suono della Raganella di San<br />
Pasquale. Quando sentirai quel suono sul tuo capezzale sarò io che ti sarò vicino".<br />
Qualche volta, di notte, specialmente nelle case popolane, dove le pareti sopra il letto sono spesso<br />
tappezzate d’immagini di santi, le donne odono un ticchettio minuto come prodotto dalle ali di un<br />
insetto. È la Raganella di San Pasquale, dicono, un segno ammonitore di avvenimenti tristi o lieti che<br />
si preparano per la famiglia. Se il ticchettio è rapido ed inquieto, cattivo segno; una disgrazia è<br />
imminente. Se il suono è invece ritmico e uguale, gli avvenimenti saranno lieti.<br />
"Vuoi, cara?" le aveva sussurrato lui baciandola sulla guancia, "non avrai poi paura quando sarò<br />
morto?".<br />
"O anima mia, paura di te?" aveva risposto Lisabetta; e lo aveva abbracciato piangendo.<br />
Era la novena di Sant’Antonio. Nella strada, mentre essi parlavano così tranquillamente della morte,<br />
passavano i tamburi che precedono il vespro. Poi lui il diciassette era morto, e la giovane vedova era<br />
rimasta sola e inconsolabile nell’attesa di rivederlo in sogno, di udire sul capezzale il ticchettio<br />
convenuto che le annunziasse la presenza del suo caro trapassato. Ma quello non aveva mantenuta la<br />
sua promessa. Non una sera era passata senza che lei, dopo la preghiera, non lo invocasse<br />
appassionatamente. Si segnava, si accucciava sotto le lenzuola e tendeva l’orecchio per udire se, tra i<br />
varî rumori che incrinavano il silenzio notturno, non venisse da sopra il suo letto il tic tac precipitoso<br />
e monotono della Raganella di San Pasquale. Assolutamente nulla! Nella cassa che conteneva il<br />
corredo nuziale qualche tarlo faceva udire il suo rodio lugubre e fastidioso; qualche topo passava in<br />
corsa precipitosa sull’embrice; e l’assiolo cantava negli orti, ma la raganella non l’aveva mai udita.<br />
Il suo cuore si riempiva di tristezza. Neppure in sogno l’aveva mai riveduto.<br />
"E in sogno perché no?" diceva Lisabetta tra sé, assolutamente persuasa che i sogni fossero, più che<br />
ogni altra cosa, nel dominio dei morti. "Una volta sola perché io possa rivedere il suo volto, quel caro<br />
volto che si appannava inesorabilmente nella sua memoria, come una immagine riflessa in uno<br />
specchio sul quale passa un alito caldo.<br />
"Neppure quello! Ahimè, i morti non pensano più ai vivi; essi sono nel mondo della verità, e non si<br />
curano più di noi. Tutto quello ch’è terreno non li tocca più; un muro di bronzo separa la nostra dalla<br />
loro vita, ed ogni corrispondenza coi trapassati è una mera illusione. E allora perché serbarsi fedele a<br />
chi non appartiene più a questo mondo, e non si cura di noi più di quanto noi non curiamo le cose che<br />
non abbiamo mai vedute? Meglio è vivere, amare ancora, godere la gioventù ch’è bella e non ritorna".<br />
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