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LA ZIA FRANCESCA

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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />

giovinezza.<br />

- Oh, sono anch’io molto contenta! – disse la maestrina, ma senza persuasione, tanto confusi erano i<br />

suoi pensieri.<br />

- Quando partite?<br />

- Questo pomeriggio – rispose la ragazza. – Scrivetemi ancora, vi prego… Io scriverò di certo. E voi?<br />

Egli non rispose ma le prese una mano tra le sue e si mise a carezzarla. Allora ella non riuscì più a<br />

dominare né l’impeto del pianto, né il terribile bisogno che la teneva. Cadde in ginocchio davanti alla<br />

poltrona, prese fra le sue le mani di lui, si mise a baciarle singhiozzando: - Caro… caro, addio!<br />

Scrivetemi sempre, ricordatemi, io vi scriverò.<br />

Poi si alzò, e cercando di evitare lo sguardo di lui, uscì nel corridoio come un colpo di vento.<br />

Quando fu in strada, sotto il sole caldo del cielo primaverile, si sentì presa da un tal bisogno di<br />

lacrime, che se non avesse trovato subito un luogo per sfogarsi si sarebbe messa a urlare per la strada.<br />

Imboccato corso Magenta, presto si trovò davanti alla chiesa delle Grazie.<br />

Entrò si cacciò in un angolo sopra una panca, e pianse a lungo come se le fosse morta una persona<br />

cara.<br />

MIO ZIO BARONE<br />

Quando frequentavo il terzo anno di legge, abitavo, nella vecchia Messina; in via S. Paolo dei<br />

Disciplinati, una stanzetta al terzo piano, di una casa silenziosa, molto propizia agli studi e alle<br />

meditazioni. Tutto ciò che avrebbe potuto distrarmi era bandito da quella casa e soprattutto le donne<br />

giovani. Tutte le donne che incontravo o vedevo affacciarsi erano vecchie o spose sciupate e<br />

indaffarate che rifacevano i letti battendo di gran colpi con le mani sui materassi o lavavano in cucina<br />

o stendevano su certi fili distesi attraverso il balcone, lunghe teorie di vecchie calze e di fazzoletti.<br />

Difatti tutta la contrada era piena di un odore bucato e di quel caratteristico odore di vivande<br />

piccolo-borghese che mette addosso una strana malinconia, una malinconia di operazione destinata a<br />

sostentare una vita grama che pare non valga la pena di essere vissuta.<br />

La mia stanzetta era anch’essa molto modesta, rettangolare, con le pareti nude a intonaco, su una delle<br />

quali si apriva, con la sua luce argentea, come unico ornamento, uno specchio dalla cornice di legno<br />

nero, sospeso sopra un cassettone di ciliegio.<br />

Di fronte allo specchio era una finestra a davanzale che dava sulla via; in un angolo, il lettuccio<br />

miserino come quello di un frate, e accanto un tavolinetto con i libri, le dispense di diritto civile e di<br />

procedura.<br />

Dirimpetto a me, nella casa di fronte, abitava una vecchia signora, alta, magra e fantastica, che io<br />

vedevo qualche volta nel pomeriggio passare attraverso alla sua stanza, con un fazzoletto bianco in<br />

testa ed un lungo sigaro virginia in bocca. Quella vecchia signora aveva una figlia che doveva essere<br />

molto graziosa quando era giovane; ora sulla soglia della quarantina, era tutta appassita e illanguida,<br />

sebbene, nel corpo alto e ben costrutto, serbasse un residuo della tramontata grazia giovanile.<br />

Questa signorina che era la persona più giovane della via, conduceva con la madre una vita modesta e<br />

alquanto misteriosa. Si vedeva che vivevano di piccoli risparmi e di quelle risorse provvidenziali che<br />

file:///C|/WINDOWS/Desktop/STORIE HTML colorato 418.htm (92 di 114) [03/09/2002 19.26.02]

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