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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />
- A che cosa pensi, suor Clementina – le domanda suor Benedetta – non sei contenta di venire in<br />
campagna alla cerca? O hai lasciata qualche malata che ti era particolarmente cara?<br />
- Ah! Come ho pianto ieri, suor Benedetta, come ho pianto! È morta la più cara delle mie malate.<br />
Suor Clementina tira fuori dall’ampia manica una pezzuola, si asciuga gli occhi e poi comincia il suo<br />
racconto.<br />
- Ricordi il caso di quella giovane che ci fu segnalato questo autunno dal parroco di San Francesco da<br />
Paola?<br />
- Sì, sì. Quel biglietto trovato nella cassetta delle elemosine?<br />
- Appunto. Il biglietto, se ricordi, diceva: "Forse domani mi metterò a letto e non potrò alzarmi. Sono<br />
sola. Mandate una suora che mi visiti di quando in quando e che mi porti qualche giornale. Nel nome<br />
di Dio, grazie. Una giovane malata".<br />
Ad andarla a trovare fui incaricata io.<br />
Tanto mi fu cara quella piccola graziosa inferma che di ciò che si riferisce a lei io ricordo tutto, fino ai<br />
minimi particolari. Ricordo, per esempio, che quella mattina, quando mi recai a trovarla, io non vidi<br />
che cose gentili, aspetti di grazia: bambini che andavano a scuola, colombi, e una schiera di ragazzette<br />
che entravano in chiesa col velo bianco per la prima comunione.<br />
Pareva che circostanze esterne, provvidenziali, volessero predisporre il mio cuore alla conoscenza di<br />
quell’essere infelice e delicato, al quale doveva legarmi un interesse così tenero, e… Dio mio… così<br />
condannevole per me, che non debbo più amare le cose del mondo.<br />
La cameretta dove abitava era al quinto piano, una stanzuccia linda, ma poverissima, la cui finestra<br />
guardava sopra un parco signorile. La ragazza non era a letto, ma distesa sopra un sedia a sdraio. Era<br />
senza calze, con un paio di pianelline di seta rosa ai piedi e stava tutta raggomitolata in una pelliccia<br />
di coniglio dal colletto grigio. Non aveva più di vent’anni, era esile, graziosa, con una piccola bazza,<br />
due occhi bruni assai belli, e i capelli, di quel castano denso che tende al marrone, davano una<br />
espressione quasi esotica al suo volto olivastro.<br />
Dall’unica finestra a davanzale entrava un bel tappeto di sole caldo ed ella, inquadrata in quell’oro<br />
stava distesa come una gattina, tendendo le mani e i piedini bianchi come quelli di una bambola di<br />
porcellana.<br />
Quando venne ad aprire, da principio rimase un po’ stupita: si vede che non mi aspettava in quell’ora<br />
mattutina. E poi noi abbiamo un aspetto così lugubre e misero, che solo la estrema miseria ci accetta<br />
volentieri; e quella poveretta non era ancora all’estremo.<br />
- Siete malata – le dissi tentando un sorriso. – Posso esservi utile in qualche cosa?<br />
- Venite, venite, sorella. Non v’aspettavo. Ma siate la benvenuta. Non speravo che il mio biglietto<br />
avesse raggiunto il suo scopo.<br />
Grazie. Potete stare un quarto d’ora qui? Un quarto d’ora soltanto.<br />
Entrai e mi sedetti vicino a lei che aveva ripreso il suo posto. Dai pomelli arrossati e dagli occhi un<br />
po’ eccitati e brillanti mi accorsi che aveva la febbre. Ella, però si mostrava ilare e mi parlava con un<br />
bel sorriso infantile.<br />
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