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LA ZIA FRANCESCA

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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />

ricciuto, con le gambette e guance bleu come un budello di sanguinaccio.<br />

Ma l’essere che più interessava la signorina Dores in quella bettola era un ragazzo di circa sedici anni,<br />

un povero scemo che non si sapeva di chi fosse figlio, e viveva in giro per le cascine, di carità e del<br />

provento di piccoli lavori, che faceva pei contadini nelle campagne e nei cortili. Cambiava lo strame<br />

alle bestie, spaccava la legna, trasportava carichi di verdure, caricava e sparpagliava il concime.<br />

Nella cantina della bettola lavava le bottiglie, travasava il vino, e aiutava in tante piccole faccenduole<br />

il padrone per una minestra e un bicchiere di vino. Vestiva gli abiti smessi e le scarpe rotte che gli<br />

davano per carità, e dormiva nei fienili. La Cascina Gallarda era la sua residenza abituale: tutti lo<br />

conoscevano e tutti lo aiutavano, come una bestia innocua ed utile nello stesso tempo, che non dava<br />

neppure la noia di essere curata.<br />

Lo chiamavano Mutas perché così egli pronunciava il suo nome, che era Tommaso.<br />

Da principio la Dores aveva paura del povero scemo, perché egli era tanto brutto. La sua fronte era<br />

così angusta, che la linea dei capelli quasi toccava le sopracciglia; i suoi occhi erano infossati come<br />

quelli dei vecchi, e la faccia grossa da mastino, aveva una espressione di misteriosa sofferenza che<br />

suscitava, a guardarla, una specie di inquietudine panica, simile a quella che si prova davanti alle<br />

bestie malefiche. Il povero ragazzo, che quasi tutti i giorni, per l’ora del pranzo era nell’osteria,<br />

guardava la signorina Dores come si guarda una statua nella chiesa, e i suoi poveri occhi dolorosi e<br />

innocenti di diseredato pareva si riempissero di luce.<br />

Dio mio, diceva la Signorina Dores guardandolo, mentre con una specie di singulto, vibrava la scure<br />

sulle grosse radici di gelso nell’atrio della bettola, sembra appartenere ad una razza maledetta; ha<br />

l’espressione e gli occhi di una bestia, ma di una bestia sacra, che abbia il volto a somiglianza di Dio.<br />

Perciò una singolare pietà, e quasi una tenerezza profonda e misteriosa la piegava verso di lui, quella<br />

specie di carità che ha l’ardore dell’amore, di un amore senza residui, che si consumi interamente<br />

nella propria purità e dolcezza. E tanto maggiore e più intensa diventava quella tenerezza, quanto più<br />

grossolano e violento era il modo con cui tutti trattavano il povero Mutas. Il padrone della bettola,<br />

spesso – solo per far ridere i passeggeri che bevevano – gli faceva delle domande scurrili, o gli dava<br />

dei calci, come li avrebbe dati ad una tartaruga, per vederle ritirare la testa.<br />

La signorina Dores si sentiva stringere il cuore davanti a quelle scene; non voleva veder soffrire la<br />

povera bestia che aveva il volto a somiglianza di Dio, e gli andava vicino, gli sollevava il viso, lo<br />

accarezzava sui capelli, e gli diceva scherzosamente: - Povero Mutas, nessuno ti vuole bene, solo la<br />

maestrina vuol bene al povero Mutas!<br />

Per uno di quei singolari segreti del cuore umano, per cui l’uomo trova una gioia sempre quando gli è<br />

dato di contemplare un mistero, la signorina Dores si era abituata a considerare come una piccola<br />

gioia per lei l’affettuosa contemplazione di quell’anima ignara; ed era come se avesse in una gabbia<br />

una bestia affettuosa, una di quelle bestie inutili e dolci, che si fanno amare per la loro misteriosa<br />

bruttezza.<br />

Un giorno però avvenne un fatto che mise in allarme tutta la cascina Gallarda.<br />

Mutas, nelle prime ore del pomeriggio, stava sdraiato lungo un fosso a prendere il sole, e guardava<br />

verso una buca mascherata dall’erba, donde una volta aveva vista saltare in acqua una lontra.<br />

Una ragazzetta di circa dieci anni, figlia di un contadino chiamato Pedrin, venne a passare vicino a<br />

Mutas, e pare che questi, per celia l’abbia rincorsa a carponi tra l’erba, simulando un grugnito<br />

animalesco. La bambina spaventata si mise a correre urlando e giunta a casa trafelata, piangente, disse<br />

file:///C|/WINDOWS/Desktop/STORIE HTML colorato 418.htm (67 di 114) [03/09/2002 19.26.02]

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