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LA ZIA FRANCESCA

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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />

essere fuori dal mondo, in un paese dolce e triste, dove i ricordi delle passate felicità si raccolgono in<br />

una specie di agape religiosa.<br />

Dopo la cena i ragazzi vanno a letto. Clotilde, suo marito ed io ci sediamo sopra una loggetta che<br />

guarda verso il mare e ci mettiamo a discorrere. Parliamo del nostro paese, dei nostri parenti morti,<br />

rievochiamo ricordi di giovinezza e a un tratto Clotilde diventa silenziosa.<br />

Io la vedo sotto il debole chiarore delle stelle restare come assorta, con la testa china, ed ho la<br />

sensazione inquietante che pensi al nostro amore lontano.<br />

Mi sembra che i suoi pensieri giungano a me sensibili come un profumo, che una specie di fluido<br />

passi dal suo cervello al mio e che tutti e due vaporino un rimpianto verso il passato, come due<br />

incensieri nella navata di un tempio solitario. Essa rimpiange forse di non essere stata mia, di non<br />

avermi seguito nella mia via dolorosa e combattuta e di non avere dato a me il fiore della sua vita. Mi<br />

sento preso da uno strano disagio.<br />

La notte solenne è sopra di noi come la corrente di un fiume. Vedo il moto appena percettibile degli<br />

astri che si spostano in stormi immensi come per una divina migrazione, e mi pare di udire il rombo<br />

del tempo che cade, la cascata misteriosa che porta con sé le cose del mondo. Clotilde tace. La sua<br />

testa si china a poco a poco, il mento si appoggia sul petto e, il respiro si ingrossa, calmo, sonoro nella<br />

tranquillità, del sonno. La sua vita è conchiusa, essa dorme.<br />

PREVITELLU<br />

Nessuna stagione in Calabria ha il fascino dell’autunno.<br />

Dopo le grandi siccità estive, l’aria bianca, opaca, tramoggiata per mesi dall’interminabile coro delle<br />

cicale, col settembre, a poco a poco, ridiventa diafana. Il cielo si sfilaccia come un maestoso<br />

padiglione di seta ragnata e si decompone in trame tenui di vapori a tinte sfumate e finalmente, verso<br />

la fine del mese, sulla linea d’indaco del mare, si ripresentano quei grandi cumuli di nuvole bianche,<br />

che i contadini chiamano "i castelli". Stagnano, si gonfiano con un moto invisibile, per qualche giorno<br />

assediano l’orizzonte, spostandosi come in una manovra e disegnando fantastici scenari omerici.<br />

Credo che solo guardando quelle nuvole si può capire come sui mari del sud siano nate le più<br />

affascinanti fantasia dell’antichità.<br />

A sera il cielo prende un colore di porpora sfatta, sotto i cui riflessi i boschi si disegnano ariosi, in una<br />

magica prospettiva, come nell’obiettivo di un cosmorama. Finalmente un pomeriggio all’improvviso,<br />

quelle nuvole s’addensano, s’infoscano; il tuono rompe la pesante inerzia dell’aria, e come una manna<br />

di antiche divinità cadono le prime piogge.<br />

Allora la terra si trasfigura con una rapidità da prodigio. Sembra debba ritornare la primavera. Le<br />

macee, i sentieri, le bassure dove il vento ha mulinati i semi della grande estate, si coprono di verde e<br />

di piante grasse, le siepi di sambuco intorno buttano miriadi di polloni carnosi, e a guardare la<br />

campagna, quel verde improvviso ed impetuoso, fa il più strano contrasto col croco carico delle vigne<br />

che si spogliano, e il rosso dei ciliegi che, in mezzo a gli orti, sembrano alberi ornamentali.<br />

Quando io ero ragazzo per me quello era il periodo dell’anno più emozionante, perché segnava il mio<br />

ritorno a gli studi.<br />

Le vacanze erano finite e dovevo rientrare in seminario.<br />

file:///C|/WINDOWS/Desktop/STORIE HTML colorato 418.htm (61 di 114) [03/09/2002 19.26.02]

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