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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />
urtava che il bambino venisse da te a mangiar la mostarda. Ora tutto questo è ridicolo e crudele. E<br />
poi… picchiava tutti… sempre alle prese con la giustizia.<br />
La zia Francesca sospirò: - Sì, era irragionevolmente geloso, ed anche violento, ma a me voleva un<br />
bene unico al mondo. In dodici anni uscii con lui a passeggio solo tre volte, ma quell’uomo per me<br />
non era un marito, era un innamorato. Quanto era fiero e violento con gli altri, altrettanto era<br />
affettuoso con me; mi adorava come una cosa santa e preziosa. Egli credeva, nella sua totale<br />
adorazione che nessuna donna fosse più bella di me. Sì… era anche violento… Cosa vuoi… era un<br />
uomo fuori del suo tempo, un vecchio barone medievale nato per comandare, senza altra legge che la<br />
propria.<br />
E piangeva col suo bel volto bianco e mite solcato dalle lacrime, sotto i capelli neri che sembravano<br />
anch’essi un segno di lutto intorno alla fronte pallida e dolente. Quella conversazione, e le lacrime di<br />
mia zia e le rivelazioni intorno a quella specie di prigionia ricordo che produssero nel mio animo una<br />
impressione profonda. La parola "amore" cominciava a turbare la mia immaginazione di ragazzo<br />
precoce, e qualche aerea fantasia popolava già i miei sogni. Non sapevo che cosa fosse, ma sentivo<br />
che doveva essere una cosa divina che sconvolge e inebria la ragione. E quando al sera udivo la zia<br />
che riposava nel suo lettino accanto al mio, sospirava, mi rannicchiavo senza fiato e ascoltavo. Che<br />
cosa? Non so, ma mi pareva che nel silenzio profondo avrei udito battere il suo cuore, e che attraverso<br />
quel palpito avrei avuta la rivelazione di un mistero bellissimo e suggestivo, il mistero che già turbava<br />
per mille vie la mia piccola vita.<br />
Il porto sonnecchiava nel calore meridiano.<br />
<strong>LA</strong> PASQUA DI VECCIA<br />
L’acqua grassa come l’olio, tutta sparsa di detriti, di foglie d’insalata, di bucce di cocomero, di stracci<br />
di carta, di spazzature circolava intorno alle chiglie di alcune paranze, ammarrate vicino al molo,<br />
raccogliendo nel suo moto tardo e uniforme le lordure in piccole isole vaganti, sotto cui le ombre degli<br />
alberi e dei cordami ondeggiavano a spire come viluppi di piante in una corrente.<br />
In mezzo allo specchio dell’acqua giganteggiava un vapore postale della compagnia Florio e<br />
Rubattino, sul quale alcuni marinai meriggiavano fumando. La capitaneria, la stazione, il pontile del<br />
Ferry-Boat erano deserti; i carrelli della decouville erano abbandonati sui binari, e alcuni operai<br />
dormivano all’ombra della draga russando. Per tutto il porto era un silenzio pesante, rotto appena dal<br />
gorgoglio dell’acqua, che fra gli scogli dell’imboccatura e i blocchi di calcestruzzo, avventava di<br />
quanto in quanto una frangia di schiuma.<br />
Una donna giovane, vestiva di colori gai, attraversò ad un tratto a piccoli passi svelti, lo spazio tra il<br />
pontile e la stazione, svoltò verso la ferrovia e scomparve dietro la casa di salute del professor Labate.<br />
Dopo una decina di minuti ritornò, e guardandosi attorno un po’ corrucciata, si diresse lungo il molo,<br />
verso le paranze. Giunta davanti a quella di Veccia lo chiamò, con la sua voce un po’ raume soffiata<br />
attraverso una gola di velluto.<br />
- Veccia che fai?<br />
Veccia, che dava la caccia ai polipi, si voltò.<br />
- Oh, Nannina, come mai in questi luoghi a quest’ora. Anche tu alla pesca?<br />
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