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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />
Le calze di filo di Scozia? Il suo uomo le portava un paio ogni volta che andava a Messina. Di velette<br />
ne aveva quattro, e due bellissimi scialli di lana azzurra, che quando andava alla messa nella chiesa<br />
delle Rosine, la facevano somigliare ad una madonnina. I vestiti non le mancavano. Era stata sempre<br />
ambiziosa per le belle scarpette. Ebbene, ora ne aveva quattro paia: fra cui uno di copale ed una di<br />
pelle cobrata, che le facevano un piedino adorabile.<br />
Cosa le mancava dunque?<br />
Qualche cosa veramente sentiva le mancasse, ma era una cosa torbida, alla quale si sforzava di non<br />
pensare mai.<br />
Le mancavano le terribili febbri della carne, quelle attese così dolci e dolorose, all’angolo di una via<br />
in ombra, di un uomo che si ama, che si desidera con ansia, quelle risse furibonde che la lasciavano<br />
vinta e disfatta, e le chiudevano gli occhi, in un abbandono dolce come una bella morte.<br />
Ora le sembrava di non esser più giovane. Le febbri erano finite, l’amore era diventato un’abitudine<br />
calma e senza spasimi. Si sentiva ingrassare, diventare rotonda e un po’ tarda, e i suoi labbruzzi<br />
piccoli e rosei come due metà di una ciliegia si coloravano di un sangue riposato e gagliardo.<br />
Veccia le voleva tanto bene.<br />
Ma Veccia, ora che aveva un figlio, stava tanto poco in casa. La maggior parte dei giorni Nannina li<br />
passava sola. Accudiva alla casa, ripuliva il bambino; qualche volta nell’orto lavava i pannolini e<br />
cantava. Le canzoni erano quelle di una volta, ma passavano nella quiete tranquilla dell’orto e<br />
dileguavano: lo scenario non era adatto a risuscitare le febbri dell’amore impetuoso. La pergola<br />
frusciante al vento che veniva dal mare, il mandorlo, i peschi e tutta quella ortaglia tranquilla, si<br />
conciliava con la pace del cuore, la calma dei sensi, e col vivere quasi agreste, su quella collina tutta<br />
bella di ulivi, di orti e di alberi in fiore.<br />
Nei pomeriggi Nannina stendeva davanti all’uscio di casa una stuoia e sopra sdraiava il bambino, che<br />
bisbigliava come un passerotto, agitando le manine e le gambette rosee, e spalancando verso il cielo<br />
profondo due occhietti smagati color d’acqua con latte. Essa rammendava dei vestiti, o faceva la<br />
calza. L’aria era morbida e tiepida come la pelurie di un nido; il mare ora schiumava e lampeggiava<br />
fragoroso, tutto fiorito di fiocchi candidi, ora s’increspava appena, e pareva correre verso il sud come<br />
un fiume.<br />
Contro la casa, sopra un piccolo poggio, si vedeva biancheggiare la casermetta della polveriera, con in<br />
alto l’antenna sottile del parafulmine, e sull’angolo la garitta dipinta di grigio.<br />
Nannina era allegra, si sentiva esuberante di salute e quasi oppressa dalla troppa dolcezza dell’aria, e<br />
dalla tranquillità immutabile di quella vita casalinga. Una sottile impercettibile nostalgia le si<br />
affacciava timidamente nel fondo del cuore, ma come il suono di un oboe con la sordina in una grande<br />
orchestra. Nostalgia di che cosa? Non sapeva neppure. Era come se un ricordo di suoni e di giuochi<br />
giovanili, di sapori gustati in un tempo di festa, le passasse nella memoria, tentando di trascinarsi<br />
dietro il cuore, Nannina scrollava la testa, e mandava via i pensieri molesti guardando il suo piccolino<br />
che gorgogliava sulla stuoia sgambettando, con un verso sempre eguale come quello di un giocattolo<br />
meccanico. Gli sorrideva, gli faceva dei segni con la mano e con la testa garrendo: il piccino la<br />
cercava con gli occhi estatici, la fissava, poi apriva le labbra ad uno di quei sorrisi dei bimbi che<br />
hanno la grazia inconsapevole degli spettacoli naturali.<br />
Un giorno mentre Nannina agucchiava intorno ad un paio di calze un po’ ragnate, ed il piccino garriva<br />
ai suoi piedi, passò davanti alla sua casa un drappello di soldati che andavano a dare il cambio alla<br />
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