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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />
Il nostro Monga attese il sabato, e nel pomeriggio partì per Torino alla ricerca delle cravatte<br />
meravigliose. Appena scese in città comprò delle sigarette uso egiziano, seguì per via Roma una bella<br />
sartina, poi per via Arcivescovado scese in via Lagrange, e si presentò al negozietto indicatogli dal<br />
Segre. Era proprio una vetrinetta modesta, dipinta in noce scura, con degli scaffali coperti di carta in<br />
cui erano esposte delle scatole di cartone bianco piene di cravatte, di bretelle, di guanti e di altri<br />
oggetti di abbigliamento maschile. Le cravatte erano sbiadite, e tutto aveva un aspetto vecchio e<br />
polveroso. Monga entrò a malincuore. Il negozio era deserto e una commessa, magra, alta, brutta, ma<br />
molto dipinta guardava verso i possibili avventori con gli occhi e il portamento aggressivo di una<br />
mantide religiosa che vada alla caccia.<br />
Appena vide entrare Monga la commessa si alzò in piedi e con un sorriso ammaestrato domandò: - Il<br />
signore desidera?<br />
- Vorrei comperare delle cravatte – fece Monga – e poiché quella con sveltezza sorprendente, aveva<br />
tratte giù da uno scaffale quattro o cinque scatole e le aveva scoperchiate, aggiunse chinandosi<br />
discretamente sul banco e in tono tutto confidenziale: - Sa… mi vegni da parte del Nudar.<br />
Ah!… - fece, con un sorrisetto significativo la commessa – allora aspetti un minuto, avverto la<br />
Signora.<br />
Scostò una tendina, entrò nel retrobottega, e dopo un minuto uscì fuori con l’aria di chi porta una<br />
buona notizia.<br />
- S’accomodi, signore – e lo fece entrare.<br />
Dietro la tenda era un piccolo corridoio scuro e poi una stanza piena di scaffali di legno e di scatole di<br />
cartone. Siccome era senza luce, quella stanza era illuminata da un modesto lampadario di cristallo,<br />
come quelli che si vedono in certe chiese di paese. In terra era disteso un tappeto e ai margini del<br />
tappeto, addossato al muro, un divano e due poltroncine di velluto rosso.<br />
Ritta davanti al divano era una donna sui cinquant’anni con un’enorme cresta di capelli biondi che<br />
diventavano grigi, un petto monumentale stretto in un busto a stecche, che le dava l’aria di un salame<br />
ben confezionato, ed una faccia larga apoplettica, rossa come un mattone, su cui brillavano due occhi<br />
avidi e accesi. La donna col più invitante dei sorrisi porse al nuovo venuto una mano piccola, grassa,<br />
viscida, come un cotechino, e lo invitò a sedere.<br />
S’accomodi signore, sono felicissima di fare la sua conoscenza. Intanto lo guardava avidamente.<br />
Monga sconcertato si sedette sopra una delle poltroncine e non sapeva capacitarsi del perché di quella<br />
accoglienza straordinaria e alquanto strana.<br />
- Mi hanno detto che lei vende delle cravatte molto belle – disse Monga – e vorrei comprarne<br />
qualcuna.<br />
La donna lo fissò un poco incerta, poi disse: - Quand’è che l’ha visto il signor notaio?<br />
Monga rimase male. E chi ne sa niente del notaio, disse tra sé. Poi rispondendo così a casaccio: - Ah,<br />
l’ho visto oggi, stamattina.<br />
- Di dov’è lei? – chiese ancora la donna e gli si avvicinò con una mossa ardita e confidenziale.<br />
Sono napoletano – rispose Monga – di un paese della provincia di Salerno.<br />
Simpatici i napoletani – disse la donna – e dove abita ora?<br />
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