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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />
visti da alcuno, il barone, dritto in mezzo alla mia stanza, con l’enfasi di un tenero sul palcoscenico si<br />
sbracciava, si metteva le mani al cuore, chiamandola a mezza voce coi più dolci nomi, e mandava<br />
innumerevoli baci, che depositava sul palmo della mano e poi soffiava via come fossero farfalle, la<br />
signorina, non meno drammatica rispondeva con sospiri che avrebbero fatto muovere un mulino a<br />
vento e faceva con le mani l’atto di accarezzarlo, di lisciargli i capelli di stringerlo sul cuore.<br />
Quando qualche volta, durante queste scene mute, mi trovavo in casa io dovevo dissimulare la mia<br />
presenza sdraiandomi sul letto, e di lì, vedendo la signorina nello specchio smaniare e sbarrare i suoi<br />
grandi occhi ansiosi di zitellona quarantenne, mi dovevo mordere le mani per non scoppiare in una<br />
violenta risata.<br />
- Taci, macaco! – brontolava fra i denti il barone tra un’invocazione amorosa e un bacio: - Quella<br />
donna deve avere danaro. Non mi guastare l’affare.<br />
Ma quella corrispondenza, ristretta ai soli segni appena intelligibili e ai baci mandati sul palmo della<br />
mano, ben presto non fu più sufficiente all’espansivo cuore del barone; il quale propose, naturalmente<br />
a furia di segni, di scrivere qualche lettera. Apriti cielo! La signorina rispose con una mimica così<br />
disperata, che l’altro si ritrasse atterrito.<br />
E allora scrivesse lei. Meno che mai: né scrivere né ricevere lettere era possibile, la signorina aveva di<br />
ciò un folle terrore.<br />
Come risolvere l’intrigato problema?<br />
Allora il barone ebbe una trovata straordinaria.<br />
Un giorno si presentò a casa mia con un pennellino da gomma e un rotolo di carta protocollo. Ordinò<br />
a me di non farmi vedere; poi prese il mio calamaio e, intingendovi il pennello, cominciò a scrivere<br />
sulla carta, a caratteri di scatola, le sue generalità.<br />
Egli era ex capitano di cavalleria, era barone di Capo Passero, aveva avuto diciassette duelli, si<br />
chiamava Ruggero, era innamorato perdutamente, era pronto a presentarsi in famiglia; anzi era pronto<br />
a rapire la signorina in automobile, per poi sposarla. Scrisse tutto questo su tre o quattro fogli che<br />
distese sul letto, e poi spiegò per ordine davanti agli occhi ansiosi e meravigliati della signorina.<br />
Questa leggeva smaniando melodrammaticamente, mandava baci a decina, ma alla proposta di<br />
scappare da casa, implorava con le mani giunte, facendo capire che ciò era impossibile.<br />
Intanto da parte sua, sempre con segni, comunicò al barone le sue referenze, lei si chiamava Sofronia,<br />
apparteneva a ricca famiglia decaduta ma, ciò nonostante aveva una dote di trentamila lire.<br />
Il barone quando comprese questa cifra fece un salto nella stanza come un cavallo che adombri. –<br />
Perbacco – esclamò, trentamila lire sono quelle che mi ci vogliono!<br />
Ora bisognava persuadere la signorina Sofronia a scappare. La cosa non fu facile. Ella si difendeva<br />
accanitamente, mandando baci per calmare il furore del barone, e cadendo perfino in ginocchio con le<br />
mani sul petto.<br />
Ma il barone insistette affettuoso, insinuando, drammatico, e finalmente un giorno, estratta una<br />
elegante rivoltella scarica, se la puntò sull’orecchio minacciando di uccidersi, se la signorina non<br />
avesse acconsentito al suo progetto di fuga.<br />
Il gesto melodrammatico produsse il suo effetto. La signorina si arrese, e così si stabilì che la<br />
domenica dopo la messa mattutina, il barone l’avrebbe attesa in un determinato punto della città con<br />
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