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LA ZIA FRANCESCA

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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />

affitto, ed io vivo tutto l’anno in questa barca.<br />

- Perché non prendi moglie, Veccia?<br />

- Perché non trovo. Tu, per esempio, mi vuoi?<br />

Nannina si arrovesciò sulla gomena ridendo.<br />

- Io?, fece, guardandolo fisso, con due begli occhi giallastri, luminosi e stanchi delle veglie d’amore,<br />

ma io sono la moglie di tutti. Veccia mio, che te ne faresti di me?<br />

Veccia la guardò serio.<br />

- Con chi sei adesso, Nannina?<br />

- Con nessuno, rispose la ragazza; sono stanca di farmi mangiare l’anima. Ora mi voglio far monaca.<br />

- Non scherzare, Nannina, fece Veccia molto serio, tu dovresti metterti a posto una volta per sempre.<br />

- E come, domandò la ragazza, sforzandosi di chiudere i suoi labbruzzi a ciliegia, che restavano<br />

sempre, inevitabilmente aperti.<br />

- Se vuoi ci mettiamo insieme.<br />

- Per quanto tempo?<br />

- Per… per molto tempo; e se tu sarai brava io ti sposerò.<br />

Nannina si arrovesciò ancora ridendo di un riso superficiale, poi squadrò Veccia in faccia e nel corpo.<br />

Non era certamente bello. E a lei piacevano gli uomini belli, alti, forti, con la pelle fresca, la<br />

biancheria pulita: i sottufficiali gagliardi che le pagavano il cognac, e le cantavano sulla chitarra delle<br />

canzoni esotiche; i viaggiatori di commercio ben vestiti, con grossi anelli e catene d’oro; gli studenti<br />

d’università così ben rasati, coi baffi morbidi, che parlavano bene, e sentivano di odori delicati e<br />

tabacco fine.<br />

Vi erano delle esigenze estetiche negli amori di Nannina, una specie di gusto d’arte. Il guadagno ella<br />

lo disprezzava.<br />

Veccia invece era un marinaio tozzo, con una larga faccia solcata da rughe sottili e profonde, che<br />

acquistavano un forte rilievo su quella pelle bronzina. Aveva appena toccati i quarant’anni, era sano e<br />

buono, ma di carattere taciturno. Non aveva altra cosa al mondo che il suo cane e la sua barca, con la<br />

quale trasportava da Reggio a Villa S. Giovanni, e da qui sulla costa siciliana, le cassette degli agrumi<br />

dirette in Germania e in Austria, i bergamotti e i carichi d’olio e di grano. I suoi risparmi li depositava<br />

alla posta vivendo con poco. Non frequentava neppure i suoi compagni perché, essendo soggetto ad<br />

attacchi di mal caduco, bastava un bicchiere di vino per farlo andare in furore. Ed allora era terribile.<br />

Una sera in una bettola, davanti piazza Garibaldi, dopo avere bevuti due bicchierini d’anice, venne<br />

alle mani con un ferroviere, e poco mancò non l’uccidesse. Poi fu preso dal suo terribile male, e<br />

rimase più di due ore sotto gli alberi a grugnire come un verro, e a masticarsi orribilmente la lingua.<br />

Nannina ora lo guardava con curiosità, e al pensiero di diventare la moglie di quell’uomo tozzo,<br />

brutto, ordinario che odorava di salmastro come un pesce, sentiva una specie di ribrezzo che le faceva<br />

accapponare la pelle. Ma d’altro canto che vita cruda ed affamata era la sua! Vissuta giorno per<br />

giorno, come una febbre, senza guadagni, perché essa disprezzava il denaro, senza casa, con la sola<br />

gioia dell’amore goduto, che ardeva la sua vita come un fuoco, lasciando in fondo una cenere triste: la<br />

file:///C|/WINDOWS/Desktop/STORIE HTML colorato 418.htm (5 di 114) [03/09/2002 19.26.01]

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