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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />
Un anno, l’estate era finita con una serie di uragani, che avevano devastati gli uliveti, e il mio ritorno<br />
era particolarmente malinconico. Nel luglio avevo compiuti i tredici anni e cominciavo ad avvertire<br />
quei malesseri strani e inebrianti che annunziavano la pubertà. Quello era il mio primo anno in cui il<br />
seminario mi appariva come una clausura, e per la prima volta i pericoli di quel viaggio mi si<br />
presentavano come argomenti validi per deprecarlo; tanto più che questa volta si annunziavano<br />
particolarmente paurosi.<br />
Già i piccoli torrenti, tra le innumerevoli accidentalità di quella terra anarchica, schiumavano gonfi fra<br />
pietroni enormi; figurarsi i grossi, quelli che raccoglievano gli emissari di una intera vallata. Tuttavia,<br />
come Dio volle, i primi due li attraversammo senza incidenti. Ma quando, verso le dieci, ci trovammo<br />
davanti al fiume Ciminà un terribile sgomento mi invase.<br />
Già prima di affacciarmi sull’immenso greto, ci venne incontro nell’aria un clamore enorme, come di<br />
un esercito in marcia.<br />
- È il fiume, Pietro? – chiesi io atterrito al mio garzone.<br />
- Sì, è il fiume!<br />
Un brivido acuto mi balenò per la schiena. Di fatti, quando ebbimo attraversate alcune solvette<br />
d’oleandri, ci trovammo davanti ad una piena mai vista. L’acqua torbida, copriva il letto da un capo<br />
all’altro e passava veloce sotto i nostri occhi come il nastro di un tapis-roulant. Ad accrescere il mio<br />
terrore contribuì l’atteggiamento delle due bestie della nostra piccola carovana. La mula e l’asina,<br />
giunte davanti alla corrente, si erano arrestate, avevano sfiorata l’acqua col muso e si erano piantate lì,<br />
emettendo un lungo fremito, come per dire: "Qui non si passa".<br />
Io ricordavo quello che tutti gli anni mi diceva il Carabetto il quelle occasioni: "Allentate la cavezza e<br />
lasciate andare la mula dove vuole; essa sa meglio di noi dove deve andare".<br />
- Ecco – avevo concluso io tra me – le bestie col loro istinto, hanno già valutato il pericolo e non<br />
vogliono andare avanti. Speriamo che Pietro… Ma Pietro, con la rassegnata fatalità dei contadini che<br />
lasciano ogni decisione alla Provvidenza, si era già seduto sul greto e si scalzava, canticchiando non<br />
so più che specie di filastrocca propiziatoria. Quando si ebbe levate le scarpe e le ebbe appese al basto<br />
dell’asina, si rimboccò i pantaloni fino alla coscia e impugnato il bastone, che sembrava un litro e si<br />
accostò alla mula per fare a me le raccomandazioni di rito: "Non guardate nell’acqua, per l’amor di<br />
Dio! E lasciate andare la mula dove vuole. Aoh… Ciccia… con la buona di Dio!… Aoh!…<br />
Le bestie, dopo un istante d’esitazione, entrarono nell’acqua e cominciarono ad avanzare lentamente,<br />
con le orecchie ritte e una impassibilità quasi religiosa. Sembravano donne che portano la croce il<br />
Venerdì Santo. Io, aggrappato ai materassi, con la carne che non mi toccava più la camicia, ascoltavo<br />
atterrito il rotolio dell’acqua, il picchiare quasi cadenzato degli zoccoli della mula contro i sassi del<br />
greto, e di quando in quando, come attratto da una vertigine, socchiudevo gli occhi per vedere a che<br />
punto ci trovavamo. Non vedevo che le orecchie aguzze della mula, e poi acqua torbida, tutta a creste,<br />
in fondo alla quale emergeva un filare di betulle dal tronco di un bianco sepolcrale.<br />
Quanto tempo durasse questa specie di marcia alla cieca non saprei dirlo; certo è che ad un dato<br />
momento io fui invaso da un orribile panico: mi parve che la mula si fosse arrestata e che l’acqua mi<br />
sfiorasse i piedi. Spalancai gli occhi e mi misi a guardare come uno spiritato la corrente. Ad un tratto<br />
le orecchie della mula, le creste dell’acqua, le betulle della riva, il cielo si misero a turbinare intorno a<br />
me vertiginosamente, una strana contrazione mi serrò le mascelle. Emisi un piccolo grido soffocato e<br />
scivolai giù. Da quel momento i miei ricordi sono come brandelli scuciti di un sogno: una sensazione<br />
acutissima di freddo fino al petto che mi fa annaspare senza fiato per due minuti, la mula che si<br />
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