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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />
concimaia che appesta.<br />
- Adesso troveremo un posticino – risposi un po’ turbato – e le passai metà della mia mantellina sulle<br />
spalle. Lei si attaccò al mio braccio tremando. Avanzammo così attraverso il prato, la cui erba sotto i<br />
passi si piegava cedevole e forte come un pelo vegetale. Dopo un centinaio di metri ci si parò davanti<br />
una grossa ombra nera, come una specie di enorme ippopotamo accovacciato. Era un macigno. Ci<br />
accostammo, lo palpammo e ci sedemmo ai suoi piedi.<br />
- Avete freddo? – chiesi alla mia compagna, sentendola tutta in un tremito.<br />
- No, ho paura. Non so di che, ma ho paura. Non vedete che spettacolo?<br />
Difatti la notte, che pure era bellissima, aveva qualche cosa di quasi minaccioso. Intorno a noi il<br />
profilo delle rupi e delle cime si disegnava nettamente nell’azzurro d’ardesia del cielo come un<br />
immenso anfiteatro di ferro. Alcuni di quegli scheggioni somigliavano a nasi, altri a crani, altri a<br />
schiene curvate sotto pesi invisibili; e pareva animassero l’ombra della loro presenza misteriosa.<br />
Davanti a noi, lungo la groppa di una montagna nera di abeti, si elevava una specie di obelisco di<br />
granito alto un centinaio di metri. Isolato come un campanile, la sua punta superando il profilo della<br />
montagna, somigliava stranamente alla mitria di un vescovo o alla corona di un re barbaro. Non so<br />
come, guardando quella punta, mi ricorsero alla mente certe figure di grandi papi o di conquistatori<br />
medievali e mi parve di vedere Carlo Magno o il Barbarossa o papa Adriano I in viaggio, dalle remote<br />
solitudini del tempo, che ritentassero di superare le Alpi.<br />
Intorno a noi era un silenzio strano, come generato da una presenza panica, e in mezzo a quel silenzio<br />
saliva da ogni angolo delle valli un borbottio monotono, scroscio di acque lontanissime. Pareva che<br />
delle moltitudini nascoste dietro quei macigni, nei meandri delle rocce, recitassero in una strana<br />
favella runica, delle preghiere misteriose o dei sortilegi. Sopra di noi, nell’azzurro remoto, la<br />
geometrica regolarità delle costellazioni dava l’idea di una immensa pagina di un libro, in cui fosse<br />
scritta, con strani geroglifici, la storia del tempo.<br />
A un tratto udimmo un fischio acutissimo; un secondo rispose un po’ più lontano e un terzo ancora.<br />
Seguì uno scroscio formidabile, come di una cascata di sassi, e tutta la montagna rispose con un boato.<br />
La mia compagna ebbe un moto di spavento. – Dio mio… che rumore è questo? – E nello<br />
smarrimento, attaccandosi a me, istintivamente appoggiò la sua guancia sulla mia.<br />
- Non vi spaventate… sono dei sassi che rotolano.<br />
- E chi li fa rotolare?<br />
- Gli spiriti della montagna.<br />
- Ma voi credete agli spiriti?<br />
- E perché no? Il mondo è pieno di forze occulte che si manifestano specialmente nella solitudine. La<br />
sfera incomparabilmente più vasta è quella che spazia oltre la nostra esperienza ed è appunto quando<br />
siamo soli, quando di fronte all’infinito il nostro intelletto avverte più chiaramente i suoi limiti, che<br />
noi sentiamo dietro di essi brulicare il mondo delle forze occulte.<br />
Seguì una lunga pausa di silenzio. Poi la mia compagna disse: - Sentite, parliamo… diciamo qualche<br />
cosa. Io ho una paura folle. Mi par che la montagna viva, che sia una specie di mostro enorme che<br />
respiri…<br />
- State tranquilla, cara – le dissi; e la baciai sulla guancia, con un moto più che di tenerezza, di<br />
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