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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />
tristi che si riempivano di lacrime e di luce.<br />
Ah, per Bacco, - disse la Signorina Dores – questo infelice è innocente, e non deve morire nel bosco<br />
come una bestia senza padrone. Iddio mi assista ma io lo salverò.<br />
Si levò in piedi, fece ancora una carezza a Mutas, e dopo avergli promesso di ritornare il giorno dopo,<br />
lo lasciò.<br />
Lungo la strada di ritorno pensò che l’unico a cui potesse parlare del fatto, senza incontrare una<br />
preconcetta e bestiale ostilità, era il signor Guarenti. I contadini sono di natura testardi, e quando si<br />
ficcano una cosa in testa è difficilissimo modificare le loro opinioni.<br />
Giunta alla cascina domandò del signor Guarienti, ma quello era andato in città al mercato.<br />
Quando, sull’imbrunire, fu di ritorno, la signorina Dores andò a parlargli. Gli narrò della sua visita a<br />
Mutas, piangendo, e lo persuase che quel poveretto non era affatto colpevole del fatto di cui lo<br />
accusavano. Il signor Guarienti rimase impressionato dell’audacia della maestrina, ma si commosse<br />
anche davanti al senso di verità della sua narrazione.<br />
- Eh, perbacco – disse s’è così, sarebbe un delitto lasciarlo morire di fame e freddo nel bosco. È una<br />
creatura di Dio. Domani manderò con lei uno dei miei famigli: lo ricercherete nel bosco, e me lo<br />
condurrete qui.<br />
Nella notte limpida e stellata fece una gelata terribile.<br />
All’indomani, tutti i campi e gli alberi e le siepi erano bianchi di brina, le pozze d’acqua coperte da un<br />
sottilissimo velo, il fango duro come marmo.<br />
La signorina Dores, senza curarsi della Scuola, partì di buon’ora col custode e si recò nel bosco. Gli<br />
alberi erano tutti fioriti di merletti candidi, e le numerose tele di ragno sembravano raggiere.<br />
Chiamarono Mutas ma nessuno rispose. Lo cercarono nei cespugli, e lo rinvennero sotto un mucchio<br />
di foglie, stecchito, con una grossa lumaca sul volto color di terra.<br />
IDILLIO MUTO<br />
TERZA C<br />
L’entrata del nuovo professore d’italiano nell’aula di terza C superiore, in quella grigia mattina di<br />
ottobre, era stata una cosa veramente emozionante.<br />
Le alunne – ormai tutte signorine sui diciotto anni – balzarono in piedi e dopo qualche bisbiglio e<br />
qualche tocco alla toilette, rimasero silenziose in attesa. Coi grembiuli neri, uniformi, e il colletto<br />
bianco, sembravano una tribù di rondini allineate sopra una gronda.<br />
Quel giovane vestito di nero, con grossi occhiali neri, era il nuovo professore d’italiano ed era cieco.<br />
Poteva avere una trentina d’anni. Il suo viso era pallido, affilato ma aveva una armoniosa testa<br />
dolicocefala, con lunghi capelli biondi divisi da una scriminatura sul lato sinistro: ricordava alla<br />
lontana qualche vecchia stampa di lord Byron.<br />
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