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<strong>LA</strong> <strong>ZIA</strong> <strong>FRANCESCA</strong><br />
Ora quello che mi dava un tremito per tutta la persona era la considerazione che io non ero il medico<br />
di casa Molesini e non avevo mai curato nessuno di quella famiglia. Perché, dunque, la signora<br />
chiamava me in quella drammatica contingenza? Brancolando accesi il lume, mi vestii e, sceso in<br />
istrada, presi un tassì e mi feci portare a casa della signora.<br />
Due minuti dopo una cameriera scaruffata e spaventata mi introduceva nell’appartamento.<br />
- Oh dottore, venite; mio marito muore!<br />
- Che cosa è stato signora, - dissi chinandomi a baciarle la mano – una indigestione, uno strapazzo?<br />
Un’onda del suo profumo mi assalì come un colpo di vento e mi diede un brivido fino alla radice dei<br />
capelli.<br />
- Pare si tratti di un attacco di angina pectoris – mi rispose la signora, attirandomi a sé con un gesto<br />
insolitamente affettuoso. Appena ebbe i primi sintomi, chiamammo il nostro medico curante ed è lì<br />
che lo assiste. Venite. La seguii nella camera da letto, barcollando come un ubriaco.<br />
Il malato giaceva supino con il largo viso carnoso quasi cianotico, abbandonato sul cuscino, le<br />
occhiaie gonfie sotto il flusso anormale del sangue e le labbra livide, da cui usciva un respiro greve,<br />
affannoso, pause irregolari. Il petto gli si alzava e abbassava come un mantice.<br />
Seduto al capezzale era un ometto calvo con un paio di occhiali a stanghetta da vecchio notaio, e una<br />
coroncina di capelli neri intorno al cranio che parevano quelli di un tonsurato. Come mi vide entrare,<br />
mi venne incontro con un inchino cerimonioso e un po’ servile:<br />
- Sono il medico curante, dottor Monaci.<br />
- Piacere – feci io tendendogli la mano. Voi lo avete già visitato, collega?<br />
- Sì, l’ho visitato, professore. Purtroppo mi pare che si tratti di una forma piuttosto grave.<br />
Ci appartammo nel vano di un balcone e il mio collega mi espose in succinto il risultato delle sue<br />
osservazioni.<br />
Tornammo verso il letto. Dopo aver osservato il malato per qualche minuto, mi accorsi che il medico<br />
curante non aveva capito nulla.<br />
L’indisposizione del signor Molesini era una banalissima congestione: con un buon salasso da lì a<br />
un’ora il malato si sarebbe addormentato placidamente. Ma senza il salasso sarebbe morto.<br />
E allora, mentre chino sul petto del malato, ascoltavo il suo respiro anfanante, fui afferrato da un<br />
pensiero infame. Quando mi rialzai, sul volto non avevo più una goccia di sangue. La mia fronte era<br />
imperlata di sudore freddo e avevo l’impressione che una mano terribile mi avesse afferrato i capelli,<br />
annullando completamente la mia volontà. Dovevo fare il salasso?<br />
Sotto l’imperativo categorico di quella domanda, il mio cuore si gonfiava come la gola di un naja.<br />
Vicino a me era la signora che io avevo tanto desiderata, coi capelli nerissimi un po’ scomposti, la<br />
faccia pallida, i grandi occhi funebri; ed io non vedevo che lei. Aspiravo a narici spalancate il<br />
profumo che veniva dalle sue vesti, dal suo corpo giovane, guardavo le sue braccia bianche aperte fino<br />
al gomito, e la mia volontà si inalberava come un cavallo selvaggio.<br />
No, io non avrei fatto il salasso!<br />
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