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In questo numero - L'IRCOCERVO

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molto netta, non solo nel titolo, la scelta<br />

di essere, appunto, “democratico di sinistra”.<br />

Dal congresso di Pesaro in poi i Ds<br />

hanno cominciato a lavorare per diventare,<br />

pur fra mille contraddizioni, finalmente<br />

un partito socialdemocratico.<br />

<strong>In</strong> tempi rapidissimi e nello spazio di circa<br />

un anno hanno dovuto fare un’altra<br />

conversione a U per arrivare a diventare<br />

“democratici” tout court, non più socialdemocratici<br />

e nemmeno “democratici di<br />

sinistra” ma, appunto, democratici e basta,<br />

il che vuol dire tutto e quindi niente.<br />

<strong>In</strong> sostanza nel corso di poco tempo i Ds<br />

hanno fatto il più veloce e integrale spogliarello<br />

ideologico che una forza politica<br />

abbia mai fatto. Essi avevano appena cominciato<br />

a fare i primi passi e a emettere<br />

i primi vagiti nella nuova veste di socialdemocratici<br />

e in un batter d’occhio adesso<br />

devono smontare la nuova impalcatura<br />

appena costruita per procedere ad<br />

una nuova ristrutturazione – ideologica,<br />

politica, organizzativa – nella chiave di<br />

un inedito partito democratico fatto insieme<br />

a democristiani che sono in servizio<br />

permanente effettivo come ha dimostrato<br />

il modo con cui hanno gestito il loro congresso.<br />

Questa scelta toglie ai diessini perfino il<br />

fiore all’occhiello del simbolo del partito<br />

socialista europeo mentre da qualcuno<br />

viene ipotizzata un’identità con l’omologo<br />

partito americano che è ben altra cosa<br />

dalla socialdemocrazia. Neanche Fregoli<br />

riuscirebbe agevolmente in un’operazione<br />

così veloce di travestimento politico,<br />

culturale, antropologico. Così si verifica<br />

l’ennesimo paradosso della vita politica<br />

italiana. Un partito ancora ideologico se<br />

non altro nella cultura e nelle esigenze<br />

dei suoi quadri, si ritrova totalmente senza<br />

ideologia: sarebbe stato possibile, ed<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

10<br />

è stato anche fatto, tracciare i termini<br />

ideali di un trapasso dal comunismo alla<br />

socialdemocrazia: invece il passaggio<br />

dalla socialdemocrazia alla democrazia<br />

“tout court” non ha motivazioni di fondo.<br />

La democrazia rimane nel vago e nel generico.<br />

L’unico che si muove a suo agio in questa<br />

melassa è Veltroni che se la cava, però,<br />

sul terreno dell’artificio retorico e quindi<br />

parla di Gandhi e di Martin Luther King,<br />

essendosi già a suo tempo identificato sia<br />

in Kennedy che in Berlinguer.<br />

Ora, negli Usa operazioni “teoriche” di<br />

<strong>questo</strong> tipo sono possibili e talora, se<br />

espressi con stilemi linguistici efficaci e<br />

penetranti, hanno anche successo mediatico,<br />

ma in Italia e con una formazione<br />

politica che ha nel suo retroterra Gramsci,<br />

Togliatti, Berlinguer e, sul piano culturale,<br />

personalità come Galvano della Volpe,<br />

Antonio Banfi, e per venire ai giorni nostri,<br />

pur con una minore statura, Beppe Vacca<br />

o Massimo Salvatori o Giacomo Marramao<br />

o Pietro Barcellona, <strong>questo</strong> esito non<br />

si fonda su un’operazione culturale “nuova”,<br />

ma è solo un exploit mediatico-politicista.<br />

Né basta Michele Salvati a riscattare tutto<br />

ciò, anche perché il congresso dei Ds,<br />

una volta sancita la fine totale delle ideologie,<br />

non è stato neanche chiaro sul terreno<br />

del riformismo pratico: nessuno sa<br />

qual è la posizione dei Ds sul piano della<br />

legge elettorale, della legge sulle convivenze<br />

di fatto, della riforma previdenziale,<br />

della destinazione del “tesoretto” ecc: non<br />

parliamo, poi, della politica estera e della<br />

confusa miscela multiculturale, antiamericana<br />

e antiisraeliana, finora cucinata da<br />

D’Alema.<br />

Allora, a fronte di tutte queste contraddi-

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