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In questo numero - L'IRCOCERVO

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Le facezie della Storia<br />

L’89 segna la fine degli equilibri di Yalta,<br />

addirittura segna la conclusione del ciclo<br />

storico nato dalla pace di Westfalia.<br />

La transizione viene immaginata, nel clima<br />

ottimistico dei primi anni ’90, come un<br />

radioso periodo di pace e di benessere.<br />

Ma come dice Musil, “Il cammino della<br />

Storia non è quello di una palla da biliardo,<br />

che una volta partita, segue una certa<br />

traiettoria. Esso somiglia al cammino<br />

di una nuvola o di chi va bighellonando<br />

per le strade; e qui è sviato da un’ombra,<br />

lì da un gruppo di persone o dallo spettacolo<br />

di una piazza barocca; e infine giunge<br />

in un luogo che non conosceva e dove<br />

non desiderava andare”.<br />

Ecco, la transizione dalla Guerra Fredda<br />

è un’epoca incerta, sanguinosa, segnata<br />

da forti spinte irrazionali e da una fragile<br />

capacità di Governo.<br />

L’ombra di Yalta, anzi, per certi aspetti, la<br />

cultura della Pace di Versailles, determina<br />

il comportamento e gli assetti degli organismi<br />

internazionali e delle singole potenze.<br />

Matura con fatica una consapevolezza<br />

diffusa e profonda di nuovi scenari; forse<br />

perché si consuma la fine di una concezione<br />

“hegeliano-progressiva” del divenire<br />

storico (sintetizzata nella sfida bipolare,<br />

in cui entrambi i poli sono figli del pensiero<br />

occidentale).<br />

Certo è che questa lunga fase di transizione,<br />

mentre nel suo svolgersi rispondeva<br />

all’onda lunga dei meccanismi e<br />

della cultura di Yalta, ora, riletta alla luce<br />

ferrigna e livida dell’11 settembre, appare<br />

segnata da alcune linee di tendenza<br />

premonitrici.<br />

<strong>In</strong> primo luogo la prospettiva della rottura<br />

del sistema politico internazionale e del<br />

suo farsi plurale: l’Occidente come un regime<br />

internazionale fondato sulla democrazia,<br />

sul mercato, su una alta istituzio-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

42<br />

nalizzazione; l’Asia come equilibrio tra<br />

potenze regionali; il Medio Oriente come<br />

“conglomerato prewestfaliano” segnato<br />

da guerre religiose e da stati fragili; l’Africa,<br />

uno scenario tragico di progressiva<br />

decomposizione legata anche alla decolonizzazione.<br />

Quindi il formarsi di una pluralità di regimi<br />

internazionali, con fragile comunicabilità,<br />

con poche regole in comune; e l’unica<br />

potenza globale, gli Usa, non riesce a<br />

costruire la legittimazione di un sistema<br />

imperiale.<br />

<strong>In</strong> secondo luogo un processo di globalizzazione<br />

economico – tecnologico –<br />

culturale, a cui però fa riscontro una<br />

avanzata disarticolazione della statualità<br />

e dei sistemi politici: e le forze del mercato<br />

non bastano né per costruire un governo<br />

del mondo né per definire regole<br />

che riducano i costi e l’impatto negativo<br />

del processo di globalizzazione, né per<br />

trovare un equilibrio positivo e fecondo<br />

tra multiculturalità ed identità.<br />

<strong>In</strong> terzo luogo, per troppo tempo dopo il<br />

crollo dell’Urss il sistema occidentale ha<br />

cercato di proseguire con le vecchie regole,<br />

sottovalutando l’espansione ed il radicamento<br />

del terrorismo fondamentalista.<br />

E l’Europa si è cullata nell’illusione della<br />

“fine della Storia”, nella mitologia della<br />

pace mondiale, non ponendosi in alcun<br />

modo il problema della sicurezza e dei<br />

suoi costi economici, sociali e culturali.<br />

Questo è il connotato più evidente della<br />

crisi dell’Europa e delle lacerazioni nell’Occidente.<br />

Una lunga fase di transizione<br />

Dal 1989 si apre una lunga fase di<br />

transizione, segnata dall’incertezza,<br />

dalla instabilità violenta, dalla debole<br />

progettualità verso un Nuovo Ordine<br />

Mondiale.

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