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l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
orizzonte di investimento di breve periodo.<br />
Non aggrediscono le singole realtà produttive<br />
per gestirle, secondo una logica industriale.<br />
Ma per eliminare quei malfunzionamenti<br />
che ne deprimono il valore di borsa<br />
ed ai quali è facile rimediare mutandone la<br />
goverance. L’antidoto alla loro alla loro ingombrante<br />
presenza è quindi un paese<br />
che funziona dal punto di vista economico.<br />
Che, assorbendo lo stimolo che proviene<br />
dai mercati internazionali, è in grado di<br />
presentare conti aziendali in ordine ed uno<br />
standard inattaccabile. Se sussistono queste<br />
condizione, quelle incursioni diventano<br />
inutili. E si vive più tranquilli, potendo contare<br />
sulla vitalità del proprio sistema produttivo.<br />
Ricorrono queste condizioni nell’Italia di<br />
oggi? Il marcato disinteresse mostrato dal<br />
capitale estero nei confronti degli investimenti<br />
italiani ha una diversa giustificazione.<br />
Il taglio delle imprese è troppo piccolo<br />
e gli unici global player che restano (Eni,<br />
Enel e Finmeccanica) sono garantiti dalla<br />
presenza pubblica. Restano le banche. Ma<br />
fino a qualche anno fa erano protette dalla<br />
vigilanza occhiuta di Antonio Fazio e dalla<br />
retorica della difesa dell’italianità. Finito<br />
quel periodo, i giochi, come abbiamo già<br />
detto, sono cambiati. Un forte processo di<br />
aggregazione è andato avanti, facendosi<br />
scudo, come nel caso delle popolari, di<br />
norme – una testa un voto – che ben poco<br />
hanno a che vedere con le regole di un<br />
moderno sistema finanziario. Era quindi invitabile<br />
che le Fondazioni – la fenice del<br />
vecchio potere democristiano – facessero<br />
la parte del leone. <strong>In</strong> termini di patrimonio<br />
e di lauta partecipazione nei consigli di amministrazione.<br />
Due grandi banche sono rimaste<br />
fuori dal gioco. MPS, che non riesce<br />
a svincolarsi da un ottica provinciale e<br />
sciogliere il cordone ombelicale che la lega<br />
ai Ds ed al sistema delle cooperative. E<br />
63<br />
Capitalia. Quest’ultima collegata al puzzle<br />
di Mediobanca e delle Generali.<br />
Sulle ceneri di un’antica frammentazione<br />
sono sorte due grandi potenze: Unicredit e<br />
San Paolo <strong>In</strong>tesa. Esse occupano i primi<br />
posti della classifica nazionale, ma si muovono<br />
con logiche e strategie profondamente<br />
diverse. Unicredit intende crescere soprattutto<br />
nella grande arena internazionale,<br />
disdegnando il cortile, ritenuto troppo<br />
angusto, dell’economia italiana. San Paolo<br />
<strong>In</strong>tesa ha, invece, ambizioni diverse. Il suo<br />
modello di riferimento è quello “renano”.<br />
Una grande banca generale che supporta<br />
lo sviluppo nazionale, fornendo i capitali<br />
necessari ad imprenditori capaci di competere.<br />
Alcune volte, come nel caso del<br />
prestito-ponte alla Fiat, Alessandro Profumo,<br />
l’a.d. di Unicredit, e Giovanni Bazoli,<br />
l’ispiratore di San Paolo <strong>In</strong>tesa hanno operato<br />
di concerto. Ma si è trattata di una rondine<br />
che non fa primavera. Nelle altre occasioni<br />
– da Generali a Telecom – i relativi<br />
interessi si sono dimostrati divergenti. Una<br />
sana competizione?<br />
Per rispondere bisogna distinguere. La<br />
concorrenza è proficua quando si inserisce<br />
in un sistema certo di regole che riproduce,<br />
ad un livello più alto rispetto agli interessi<br />
dei singoli attori, una condivisione degli<br />
obiettivi. Se <strong>questo</strong> non si verifica, come<br />
nel caso italiano, allora i risultati possono<br />
essere addirittura negativi. Specie se il<br />
confine tra politica ed economia non è delimitato,<br />
ma i debordamenti sono continui.<br />
È soprattutto il caso di Giovanni Bazoli. La<br />
sua biografia personale lo espone continuamente<br />
a tanti piccoli sospetti, che finiscono<br />
per creare, intorno alla sua persona,<br />
un’aureola di disincanto. Che porta ad interpretare<br />
la sua stessa strategia come<br />
qualcosa di posticcio. Semplice giustificazione<br />
teorica ed astratta contro una concretezza<br />
che invece si nutre di rapporti di