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sentanza degli interessi e delle emozioni dei propri iscritti ed elettori. Questo salto organizzativo sarà possibile nella misura in cui si affermerà una più compiuta definizione della identità politica di Forza Italia sulla base delle esperienze nel governo delle istituzioni e nella società che consentono oggi una sintesi alta ed originale tra le storiche antinomie della politica italiana. Forza Italia può infatti definirsi partito laico e cristiano, conservatore e modernizzatore, liberale e solidale, popolare e riformista. È partito laico e cristiano perché assume una dimensione alta della laicità che incorpora – non relegandoli nel ghetto della soggettività individuale – quei fondamentali valori cristiani che possono essere condivisi da credenti e non credenti, secondo percorsi tanto della fede quanto della ragione, come la centralità della persona, in sé e nelle sue proiezioni relazionali, prima tra tutte la famiglia. Si tratta di un valore a lungo negato da coloro – non pochi – che hanno preferito la centralità dello Stato o quella del Partito o quella ancora della classe. È partito conservatore e modernizzatore perché impegnato a difendere i valori tradizionali dell’identità occidentale dai pericoli del relativismo culturale ed insieme animato dall’ansia di renderli sempre effettivi nella realtà che cambia attraverso gli strumenti della modernità. È partito liberale e solidale perché riconosce che la libertà precede l’uguaglianza e che la produzione della ricchezza precede la sua distribuzione, rifiuta il livellamento delle persone ma promuove la continua uguaglianza delle opportunità per tutti, stimolando in cia- l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à 36 scuno la responsabilità di essere utile a sé e agli altri. È partito popolare e riformista perché aspira a rappresentare il grande cuore interclassista della società italiana sollecitando in esso le migliori pulsioni al continuo e graduale rinnovamento economico e sociale. Forza Italia si colloca così naturalmente nel centro della politica italiana non solo perché eredita larga parte degli elettori dei cinque partiti che hanno realizzato la ricostruzione e il grande sviluppo economico e sociale del Paese ancorandolo al suo naturale alveo occidentale, ma anche perché, grazie a questa sintesi dei grandi valori, è il partito che più è in grado di realizzare progresso, coesione nazionale, equilibrio e stabilità. In esso non possono non trovare il loro luogo naturale di impegno politico i moderni riformisti - laici e cattolici - che vogliono operare per una nuova dimensione sociale. Ad esso i "nuovi" riformisti apportano una cultura della politica sociale che costituisce il modo più efficace per svelare il carattere anti-storico dell’attuale sinistra italiana e per costruire un sistema di nuove sicurezze nella complessa transizione italiana.
Modernizzatori, innovatori, riformatori di Daniele Capezzone* l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à È, questa, una stagione difficile da interpretare per i modernizzatori, gli innovatori, i riformatori, ovunque siano collocati. Forse può essere utile ripartire da tre “sfide”, o – meglio – da tre “opportunità”. La prima è quella dell’arretramento dello spazio della legge, della normazione. Un intellettuale originale e coraggioso come Alain Finkielkraut non smette di ricordarci che una società libera non è un “accumulo di diritti” (diritto a questo, diritto a quello...). Già la Costituzione italiana è negativamente gravata da questa impostazione, sul piano economico-sociale (diritto alla casa, diritto al lavoro, ecc: tanto più solennemente proclamati, quanto più difficilmente realizzati, peraltro): e non sarebbe un buon affare per nessuno trasferire questo “metodo” anche in altri ambiti. E infatti, a mio avviso, un’impostazione coraggiosa (di destra liberale, di sinistra liberale, pragmatica, postideologica, volenterosa…) dovrebbe essere opposta. Un po’ su tutto, bisognerebbe chiedere non necessariamente una norma in più, ma – più spesso – una norma in meno. Non un diritto in più, ma una fa- 37 coltà in più. Non un intervento in più dello Stato, ma un intervento in meno. Il secolo appena trascorso è stato caratterizzato dall’impronunciabilità della parola “individuo”: ed era sempre un’entità collettiva (la Famiglia, il Sindacato, il Partito, la Chiesa, lo Stato: tutti rigorosamente maiuscoli) a dire l’ultima parola. Ora, è venuto il momento di immaginare un nuovo spartiacque politico rispetto a schemi e categorie più tradizionali: e la distinzione è tra chi (in economia come sul fronte delle scelte personali) vuole allargare e chi – invece – vuole restringere la sfera della decisione individuale e privata rispetto alla sfera delle decisioni pubbliche e collettive. La seconda sfida è quella del merito, della competizione, della concorrenza, contro le chiusure corporative, contro le protezioni a favore dei garantiti, contro le tutele degli “insider”. Qualcuno dice o teme che una società troppo dinamica, centrata sul merito, rischi di lasciare indietro tanti, troppi. Non nego che il rischio ci sia. Ma, poiché il “rischio zero” non esiste, noi dobbiamo scegliere tra due alternative: la “discriminazione” (chiamiamola così, tra virgolette) secondo merito, o
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