In questo numero - L'IRCOCERVO

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à
Il numero di protocollo con cui viene registrata
in un apposito schedario la posta
in arrivo al Ministero dell’Interno consente
questa operazione. Purtroppo raramente
il consulente ne viene messo a conoscenza
all’inizio della sua indagine archivistica.
Confesso che io stesso l’ho
scoperta, casualmente, alla fine del mio
mandato di consulenza presso la Commissione,
e quindi non me ne sono potuto
avvalere.
Questo elemento nuovo dovrebbe indurre
quanti, al pari di me, hanno lavorato
sulle carte di polizia, a verificarle ex novo,
a partire dal giudizio sulle serietà del
confidente o dell’informatore.
Mi chiedo, un po’ sconcertato, come mai
i parlamentari delle Commissioni di inchiesta
non pretendano dai loro collaboratori
e consulenti un tale controllo.
Mi rendo conto che se venisse pubblicata
o resa pubblica la lista dei “collaboratori
della polizia”, lo Stato perderebbe
ogni autorevolezza, mettendo a repentaglio
la sicurezza dei propri cittadini. È la
ragione per la quale Togliatti dovette interrompere
la pubblicazione, baldanzosamente
iniziata, sulla Gazzetta ufficiale
dei nominativi delle spie dell’Ovra, la polizia
politica fascista.
Analogamente è eccezionale che al consulente
venga dato in visione il catalogo
o l’inventario degli archivi alla cui consultazione
è stato ammesso. Si tratti di quelli
delle questure, delle prefetture o del
Gabinetto del ministro, degli affari riservati
o del servizio segreto.
Occorre tener conto di una situazione di
fatto che anche chi insegue la lista dello
organico dell’apparato militare del Pci
dovrebbe prendere in seria considerazione.
Spie e confidenti debbono mettere insieme
il pranzo con la cena.
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Quelli che ogni cinque per cinque dall’Emilia-Romagna
ne scodellavano una
versione allo ambasciatore degli Usa a
Roma, James Dunn, si assottigliano appena
il diplomatico di Washington fa sapere
che non intende pagare con un assegno
in dollari, a piè di lista, le loro ”rivelazioni”.
Era gente costretta a ricavare un reddito,
magari il più alto possibile, dall’inventare
piste, comporre liste di sovversivi, escogitare
piani e progetti di eversione. Tutto
si giocava sulla capacità di convincere la
polizia che esisteva un pericolo incombente
da trattare con la massima concentrazione
dei mezzi di repressione e di
sorveglianza consentiti alle forze dell’ordine.
In altre parole, piste, elenchi, circostanze
sono (addirittura per due terzi, secondo
un recente calcolo) un materiale e una
mappa di falsità e manipolazioni. Ma su
di esse vivono singles e intere famiglie.
Né si può dare credibilità agli informatori
esaltando oltre ogni misura la loro capacità
di infiltrarsi in un movimento o in un
partito. Se non si è bravissimi, capacissimi,
si viene individuati, e il prezzo può essere
l’eliminazione anche fisica.
Ci si brucia facilmente a cercare di inserirsi
in un gruppo soprattutto se è d’opposizione,
semiclandestino ed è assai coeso
al proprio interno.
Se non si sta attenti, la difficoltà nel padroneggiare
le carte di questi personaggi
può trasformarle in una camicia di forza
che soffoca il ricercatore.
Non meno che in epoca fascista, anche
nel Pci dopo la seconda guerra mondiale
gli infiltrati furono a ranghi molto ridotti.
La polizia dovette servirsi per lo più di militanti
e dirigenti in crisi.
In secondo luogo, occorre rivolgersi all’intelligence
di altre strutture (la Marina,