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co. Per di più nei due congressi, come<br />
premessa a un’operazione che dovrà avvenire<br />
di qui ai prossimi mesi, è stata fatta<br />
una minuziosa operazione di lottizzazione<br />
interna fra le varie correnti o tendenze<br />
che attraversano sia i Ds sia la<br />
Margherita. Esattamente il contrario di<br />
quello che ha “visto” Scalfari il quale ha<br />
lodato il “superamento delle oligarchie”.<br />
L’espressione mediatica di un complesso<br />
di contraddizioni molto più profonde esistenti<br />
nei due partiti è l’offerta dal <strong>numero</strong><br />
straordinario di probabili candidature alla<br />
leadership futura del Partito Democratico.<br />
Nell’immediato <strong>questo</strong> ruolo è svolto da<br />
Prodi e tutti gliene sono grati. Più o meno<br />
gli stessi che hanno organizzato correnti<br />
o gruppi all’interno dei partiti in corso di<br />
unificazione – e cioè Fassino, D’Alema,<br />
Veltroni, più Bersani, e Finocchiaro fra i<br />
Ds, e Rutelli, Franceschini, Letta, Fioroni<br />
nella Margherita – sono anche i possibili<br />
candidati leaders. Francamente la cosa ci<br />
appare grottesca anche se ha avuto<br />
un’ottima copertura mediatica.<br />
Aldilà di questa proliferazione di leader, di<br />
gruppi e sottogruppi, i due congressi non<br />
hanno risolto due problemi di fondo. <strong>In</strong><br />
primo luogo quello riguardante l’affiliazione<br />
internazionale. Non si tratta di un problema<br />
secondario che può essere esorcizzato<br />
con le vaghe formule adottate nel<br />
congresso dei Ds: in effetti l’affiliazione internazionale<br />
non è tanto importante per il<br />
ruolo delle centrali politiche internazionali,<br />
ma perché essa serve a definire, anzi<br />
ad autodefinire una forza politica. Orbene,<br />
finora il partito democratico in formazione<br />
sfugge a ogni precisa definizione<br />
mentre, però, su <strong>questo</strong> terreno i due partiti<br />
confluenti accentuano la loro caratterizzazione<br />
e quindi la loro differenza: i Ds<br />
ribadiscono il loro riferimento al Pse,<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
8<br />
mentre la Margherita, tutta la Margherita,<br />
conferma il suo rifiuto di aderire al Pse.<br />
L’altro aspetto singolare dei congressi di<br />
due partiti che sono larga parte dal governo<br />
Prodi è che essi non si sono affatto<br />
misurati con il principale problema che ha<br />
oggi il centro-sinistra e cioè la crescente<br />
impopolarità del governo Prodi per le politiche,<br />
a partire dalla finanziaria, che esso<br />
ha finora svolto. Delle politiche del governo<br />
Prodi i due congressi hanno evitato<br />
di parlare, forse perché avrebbe guastato<br />
la festa.<br />
I due congressi hanno avuto una ben diversa<br />
intensità e drammaticità. La Margherita<br />
aveva già da tempo metabolizzato<br />
la fine drammatica della Dc e aveva<br />
composto un partito pluriculturale anche<br />
se a prevalenza cattolica. L’operazione<br />
fusione, in effetti, è vissuta dai leader della<br />
Margherita come un’operazione di razionalizzazione<br />
dell’esistente e senza<br />
un’elevata ambizione politico-culturale<br />
ma con l’intenzione di gestire il potere in<br />
modo assai invasivo.<br />
Il fatto è che nel gruppo dirigente della<br />
Margherita è prevalente un iperpoliticismo<br />
che lo porta a credere che tutto – valori,<br />
cultura, affiliazione internazionale,<br />
programmi, cariche, posti – verrà contrattato<br />
con i Ds. L’obiettivo è quello di “democristianizzare”<br />
il nuovo partito.<br />
Il gruppo dirigente della Margherita, però,<br />
non si è misurato con tre motivi di sofferenza<br />
della sua base: il fatto di realizzare<br />
addirittura un partito con quei post-comunisti<br />
che oggi certamente non sono più tali,<br />
ma una parte dei quali sono diventati<br />
laicisti anticlericali sul piano della cultura<br />
politica in assenza di altro (non c’è più il<br />
comunismo e svapora anche la socialdemocrazia)<br />
e che sono dotati di una strut-