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l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
tro dai successori, e con un convincimento<br />
partecipe da Enrico Berlinguer<br />
che la portò alle sue conseguenze e, vedremo,<br />
alla sua fine.<br />
La “solidarietà nazionale”<br />
e la sua parabola<br />
Senza la pretesa di ricostruire nei dettagli<br />
la storia del Pci nei decenni seguiti alla<br />
segreteria di Togliatti, basterà qui ricordare<br />
che con la prima metà degli anni<br />
‘70, con l’avvio della strategia del<br />
“compromesso storico” di Berlinguer e<br />
con la formazione, all’indomani delle elezioni<br />
del 20 giugno 1976, dei governi<br />
della Solidarietà Nazionale di Giulio Andreotti,<br />
il Pci raggiunse il suo più importante<br />
risultato politico, quello dell’ingresso<br />
nell’area di governo – sia pure con<br />
voto parlamentare esterno – dalla quale<br />
fino ad allora, soprattutto per ragioni internazionali,<br />
era stato tenuto lontano.<br />
<strong>In</strong> verità, nessuno nella Dc pensò a un<br />
ingresso dei comunisti nel governo, ma<br />
la presenza nella maggioranza assicurava<br />
al partito di Berlinguer una influenza<br />
decisiva, e ciò anche rispetto agli anni<br />
precedenti, all’era dell’arco costituzionale<br />
e del consociativismo.<br />
La parabola della permanenza del Pci<br />
nell’area di governo in verità durò poco,<br />
fu intensa e drammatica, costellata dalla<br />
rivolta della sinistra estrema, la mitica<br />
“generazione del 77”, e nella parte finale<br />
segnata drammaticamente dall’uccisione<br />
di Moro nella “prigione del Popolo”<br />
delle Br.<br />
Gli eventi di quegli anni furono raccontati<br />
in un libro che ne dette conto sulla base<br />
dei fatti allora noti (Arturo Gismondi:<br />
“Alle soglie del potere”, Sugarco 1985).<br />
Dell’abbandono clamoroso e quasi re-<br />
93<br />
pentino della “solidarietà nazionale”, sei<br />
mesi dopo la morte di Moro, si dettero diverse<br />
spiegazioni. E queste, anziché alternative,<br />
erano in realtà la sommatoria<br />
di difficoltà, che alla fine apparvero dinanzi<br />
a Berlinguer e al gruppo dirigente<br />
del Pci come insostenibili. <strong>In</strong> un’intervista<br />
concessa a chi scrive Gerardo Chiaromonte<br />
affermò che “non era più possibile<br />
resistere”. Le ragioni venivano individuate<br />
nella politica interna, capaci tuttavia<br />
di determinare il la ragione principale<br />
del ritorno «di là dal guado».<br />
Subito all’indomani della morte di Moro,<br />
Enrico Berlinguer avvertì la situazione<br />
diversa venutasi a creare nei rapporti<br />
con la Dc ove il presidente scomparso<br />
era stato un po’ il garante nei rapporti col<br />
Pci. Moro, in verità, non aveva mai assicurato<br />
ai comunisti un ingresso pieno<br />
nella compagine di governo, ma certamente<br />
la situazione non era migliorata<br />
dopo il trauma che aveva colpito fin nelle<br />
fibre la Dc, una parte della quale aveva<br />
subito la durezza con la quale il Pci si<br />
oppose a qualsiasi tentativo di salvare,<br />
con qualche forma di trattativa, la vita<br />
del leader democristiano.<br />
La morte di Moro accentuò le difficoltà,<br />
giacché il Pci si trovava da tempo, e fin<br />
da prima della tragedia che colpì la democrazia<br />
italiana, in crescenti difficoltà<br />
come sostenitore di un governo del quale,<br />
oltre a tutto, non faceva parte. E soprattutto<br />
per la sua base, che non capì<br />
certi sacrifici e la famosa “austerità” predicata<br />
da Enrico Berlinguer.<br />
Già nell’anno precedente, il 1977, il partito<br />
si era dovuto misurare con una base<br />
che sotto il profilo sociale, e sotto quello<br />
politico, manifestava insofferenze crescenti,<br />
fino a dar vita a ribellioni sociali