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si potremmo aggiungere la sorte del terzo<br />
partito latino, quello spagnolo).<br />
Quagliarello, pur non negando la qualità<br />
diversa della presenza del comunismo<br />
italiano nel quadro europeo, fa risalire la<br />
differenza nella storia di Pci e Pcf a un<br />
momento cruciale della vicenda del continente,<br />
alla vigilia della seconda guerra<br />
mondiale, il patto russo-tedesco del<br />
1939. E ha perfettamente ragione nel<br />
sostenere che gravi e rovinose furono le<br />
responsabilità del partito di Thorez per<br />
aver approvato la scelta fatta dall’Urss,<br />
in contraddizione con la politica antifascista<br />
approvata all’indomani del VI<br />
Congresso del Comintern. Il Pci fece, è<br />
vero, la stessa scelta, è nota la cacciata<br />
di Terracini e della Ravera dal collettivo<br />
comunista al confino di Ventotene. Il partito<br />
italiano, però, vivendo in clandestinità,<br />
pagò assai meno per un errore al<br />
quale poté riparare allorché l’aggressione<br />
di Hitler all’Urss del giugno 1941 mutò<br />
secondo i partiti comunisti la natura<br />
della guerra.<br />
Assai più grave apparve, agli occhi dei<br />
francesi, il tradimento del Pcf trattandosi<br />
questa volta di un partito legale e inserito<br />
a pieno titolo nella realtà politica francese.<br />
La caduta degli iscritti al Pcf fra il 1939 e<br />
il 1940, la sua riduzione a poche decine<br />
di migliaia in pochi mesi fu il risultato di<br />
una disfatta politica inevitabile. Il Pci, al<br />
contrario, poté inserirsi senza danni e<br />
con prestigio intatto nella Resistenza. Di<br />
qui, sostiene Quagliariello, il diverso prestigio<br />
democratico nel periodo successivo<br />
alla liberazione. Il Pcf rivendicò è vero<br />
la immagine del “partito dei fucilati” riferito<br />
alla partecipazione alla Resistenza.<br />
Restò tuttavia, in <strong>questo</strong> partito, una<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
92<br />
sorta di imbarazzo, di insincerità e di rigidità<br />
dottrinaria che ne appesantì i comportamenti<br />
per lungo tempo ancora.<br />
Di qui una maggiore disinvoltura e autorevolezza<br />
del Pci una volta inserito nella<br />
vita democratica, e nei decenni successivi.<br />
Il patto russo-tedesco fu un passaggio<br />
certo cruciale. Il “partito nuovo” di Togliatti<br />
poté però avvalersi di alcuni punti<br />
di forza che vanno a merito del suo leader.<br />
Il primo di questi fu l’affermazione<br />
della “ via nazionale al socialismo”, sostenuta<br />
con qualche disinvoltura nel<br />
quadro, tuttavia, di un sistema di alleanze<br />
sempre più esteso nel tempo, e fin<br />
dai primi anni del dopoguerra segnati<br />
dal patto di unità d’azione col Partito<br />
Socialista.<br />
Un altro punto di forza fu la politica culturale<br />
di Togliatti che si avvalse dell’uso<br />
degli scritti di Antonio Gramsci, che già a<br />
Mosca furono nel suo pieno possesso.<br />
La teoria della “egemonia della classe<br />
operaia” venne imposta in Italia, e altrove,<br />
come una novità assoluta rispetto alla<br />
dittatura del proletariato nell’Urss e<br />
l’intellighentsia di sinistra accettò l’affermazione<br />
come un dogma. Soltanto alla<br />
metà degli anni ’70 un saggio su “Mondo<br />
Operaio” di Massimo Salvadori obiettò<br />
che in realtà l’espressione “egemonia<br />
della classe operaia” era solo la traduzione,<br />
per l’Occidente, della leninista<br />
“dittatura del proletariato”. <strong>In</strong> ogni caso,<br />
l’egemonia culturale del Pci era ormai<br />
una realtà, e una realtà restò anche la<br />
“novità” della definizione gramsciana. La<br />
politica nei confronti del mondo cattolico<br />
avviata nel lontano 1947 con l’approvazione<br />
alla Costituente dell’articolo 7 della<br />
Costituzione fu un’altro caposaldo della<br />
strategia di Togliatti, sviluppata peral-