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In questo numero - L'IRCOCERVO

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l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

La risibile ascesa<br />

di Giovanni Bazoli<br />

di Fabrizio Cicchitto e Gianfranco Polillo<br />

Telecom come metafora e crocevia delle<br />

contraddizioni della società italiana. Dove il<br />

confine tra politica ed economia è sempre<br />

più labile. Al punto da nascondere il punto<br />

di congiunzione e rendere opaco il rapporto<br />

di primazia. È la politica che governa l’economia?<br />

O viceversa? Sono, cioè, alcuni<br />

soggetti, collocati fuori dal controllo democratico,<br />

che ne determinano l’agenda. Piena<br />

zeppa di appuntamenti minimalistici – si<br />

prenda il caso delle liberalizzazioni di Bersani<br />

– nei quali tuttavia singoli gruppi di<br />

pressione realizzano il loro immediato tornaconto.<br />

Fatto normale, si dirà. Questo è il<br />

modo di procedere dell’Occidente, il cui<br />

modello di relazioni (si pensi all’ibrido cinese<br />

con quel suo mix esasperato di comunismo<br />

e liberismo) ha contagiato l’intero<br />

Pianeta. E dove <strong>questo</strong> non è avvenuto,<br />

come in alcuni paesi del Medio Oriente, il<br />

fondamentalismo terroristico ne ha colmato<br />

i relativi vuoti.<br />

Risposta solo in parte convincente.<br />

Altrove l’intreccio tra politica ed economia<br />

è meno opaco. Soprattutto non deborda<br />

nel particolarismo, in barba ad interessi di<br />

carattere più generale. Che si misurano<br />

con parametri oggettivi. Il tasso di crescita<br />

del PIL, la forte presenza internazionale<br />

dei singoli campioni nazionali, una gestione<br />

ordinata delle finanze pubbliche, una<br />

coesione del Paese, che rimane forte. Dimostrando<br />

quando azzardate fossero<br />

quelle tesi che postulavano la fine degli<br />

Stati nazionali. Nessuno scempio di dino-<br />

61<br />

sauri. La globalizzazione in atto non ne ha<br />

distrutto le strutture in un abbraccio indistinto.<br />

Ne ha, al contrario, esaltato le potenzialità,<br />

quale strumento potente al servizio<br />

di strategie che richiedono la presenza<br />

attiva di un’intelligenza che non può essere<br />

sostituita dalla semplice organizzazione<br />

aziendale.<br />

Una prova, tra tante? Si guardi al processo<br />

di privatizzazione italiano. <strong>In</strong> quel grande<br />

business degli anni ’90, le acquisizioni<br />

estere di aziende italiane superarono di<br />

poco, con l’11 per cento, il valore degli assets<br />

collocati sul mercato. Il maggior interesse<br />

– 17 per cento – si riversò sull’acquisto<br />

inerente lo smobilizzo delle quote<br />

minoritarie possedute dal Tesoro e dagli altri<br />

Enti pubblici (IRI, ENI, EFIM ed Enti locali).<br />

Scarsamente considerate le imprese<br />

industriali: 7 per cento delle vendite. Ancor<br />

meno le banche, con una percentuale del<br />

4 per cento. Nel complesso, un atteggiamento<br />

scarsamente motivato. “Nel loro insieme”<br />

– ha notato uno studio di Mediobanca,<br />

predisposto per la Commissione<br />

Bilancio della Camera dei deputati – le<br />

operazioni di cessione hanno evidenziato<br />

valutazioni relativamente contenute rispetto<br />

a quelle desumibili dalle quotazioni di<br />

borsa”. Acquistare allora, in altri termini,<br />

era un affare. Che gli investitori esteri hanno<br />

disdegnato. “Gli acquirenti esteri – nota<br />

ancora lo studio – sono stati sempre imprenditori<br />

operanti nello specifico settore<br />

dell’azienda acquisita”. Sulla base di que-

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