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l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
di alleanze non solo economiche. Ma politiche.<br />
Come dimenticare la telefonata di<br />
Piero Fassino, quando si palesò il rischio<br />
dell’emarginazione di un suo manager di<br />
riferimento? Ecco un uso improprio ed<br />
obliquo del “modello renano”? Ed ancora.<br />
Dove sta la ragionevolezza sindacale nel<br />
caso dell’Alitalia? E perché si è continuato<br />
a finanziare un’attività ormai senza prospettive?<br />
La spiegazione è semplice. L’azienda era<br />
controllata dallo Stato. E, per definizione, lo<br />
Stato non fallisce. Ma questa considerazione<br />
vale solo per chi si limita a prestar denaro,<br />
essendo sicuro che il suo credito sarà,<br />
comunque, onorato. Chi teorizza invece<br />
una comune responsabilità, pur nella distinzione<br />
dei ruoli, non può poi essere complice<br />
di un disastro annunciato. Che forse<br />
non peserà sulle spalle della propria banca.<br />
Ma certo su quelle dell’intera collettività.<br />
È solo un caso? O non il riflesso di un’ambiguità<br />
di carattere più generale, che attiene<br />
all’insieme delle politiche economiche<br />
perseguite? Il dubbio è legittimo. Abbiamo<br />
già detto che il “modello renano” presuppone<br />
un’economia di mercato. Richiede<br />
pertanto politiche economiche coerenti<br />
con <strong>questo</strong> presupposto. Pensiamo solo<br />
alla fiscal policy. Al corrispettivo che deve<br />
unire prelievo fiscale e qualità dei servizi<br />
resi come contropartita. O all’organizzazione<br />
del mercato del lavoro, la cui flessibilità<br />
è condizione e presupposto del processo<br />
di riconversione produttiva indotto<br />
dalle mutate condizioni di carattere internazionale.<br />
Grazie al senso di responsabilità<br />
dimostrato da tutte le forze sociali, la<br />
Germania è riuscita a portare a termine un<br />
grande processo di ristrutturazione e delocalizzazione<br />
industriale, che le ha permesso<br />
di non cedere un palmo alla concorrenza<br />
internazionale. Per non parlare<br />
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poi degli assetti previdenziali: in cui l’allungamento<br />
della vita lavorativa è stato realizzato<br />
nella piena concordia nazionale. E<br />
se l’IVA è stata aumentata, <strong>questo</strong> è avvenuto<br />
soltanto perché la sua aliquota media<br />
era di gran lunga inferiore agli standard<br />
europea.<br />
Comunque la pressione fiscale era stata ridotta.<br />
Lo sarà ancora di più man mano che<br />
l’integrazione economica con i territori dell’est<br />
diventerà più stretta; riducendo il peso<br />
dei trasferimenti pubblici a loro favore.<br />
Che, dal momento dell’unificazione nazionale,<br />
hanno pesato fortemente sul bilancio<br />
federale. E poi la scuola. Una scuola che<br />
seleziona la futura classe dirigente. Che<br />
forma le nuove generazioni. Aperta al mercato<br />
ed alla competizione. Dove l’inglese è<br />
lingua parlata correntemente, per fornire a<br />
tutti gli strumenti di comunicazione in un<br />
mondo globalizzato. Questa è la Germania<br />
che ha partorito il “modello renano”.<br />
Siamo contenti che Giovanni Bazoli, nei<br />
suoi appassionati interventi, ogni tanto li ricordi.<br />
Lo stimolo di quelle parole va apprezzato<br />
e meditato. Però l’opera di convinzione<br />
dovrebbe essere orientata altrimenti.<br />
Ne parli più spesso con Di Pietro,<br />
Diliberto, Bertinotti, Pecoraro Scanio ed<br />
Epifani. È loro che deve convincere. Ci<br />
perda tutto il tempo che vuole. Ma non dimentichi<br />
quello che è successo, proprio, in<br />
Germania, con La Fontain e gli ex comunisti.<br />
La sopravvivenza di quel modello, che<br />
gli sta tanto a cuore, è stata legata all’estromissione<br />
di quelle forze da ogni prospettiva<br />
di governo. Riconoscendo loro solo<br />
un diritto di tribuna. Non spetta a noi dire<br />
se quella condizione era irrinunciabile.<br />
Ci basta osservare che dopo quella rottura<br />
un Paese in crisi – la maglia nera d’Europa<br />
– ha riacceso i motori, riconquistando<br />
rapidamente un primato, precedentemente,<br />
perduto.