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In questo numero - L'IRCOCERVO

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Senza entrare nel merito di alcuni errori, sorprendenti<br />

per uno studioso sempre ben documentato<br />

come Canfora – ad esempio trascura la<br />

battaglia navale di Navarino vinta congiuntamente<br />

da russi, inglesi e francesi contro gli ottomani<br />

per l’indipendenza greca (pag. 16); confonde nella<br />

situazione afgana alla fine degli anni ’70 la<br />

contrapposizione tribale tra i pashtum rurali del<br />

Khalq e pashtum urbani del Parcham con un contrasto<br />

tra diverse fazioni politiche, quando, invece<br />

erano gli uni e gli altri fiolosovietici (pag. 54) –<br />

il pamphlet ripercorre alcune vicende emblematiche<br />

che dovrebbero dimostrare “come il programma<br />

di ‘esportazione’ di idealità e modelli politici<br />

(‘liberta’, ‘democrazia’, ‘socialismo’ etc.) ‘copra’<br />

in realtà esigenze di ‘potenza’ ” (pag. 74).<br />

Atene è prima baluardo della libertà dell’Ellade<br />

contro i persiani, ma diventa successivamente<br />

“ferreo meccanismo di freno e di controllo, oltre<br />

che di repressione nei confronti dei greci già ‘liberati’<br />

” (pag. 9); la Rivoluzione francese sfocia<br />

nel potere personale di Napoleone e nell’Impero<br />

sicché “la guerra che ‘portava’ libertà’ e democrazia<br />

al resto dell’Europa si trasforma in guerra<br />

di conquista ammantata da un sempre meno credibile<br />

paravento ideologico” (pag. 23); quanto all’Urss,<br />

si sofferma sulla rivoluzione ungherese<br />

del 1956. <strong>In</strong> <strong>questo</strong> caso Canfora precisa che<br />

grazie alla normalizzazione non solo l’Ungheria<br />

“fu stabile ma rappresentò ben presto un nuovo<br />

modello”. Il fatto che sia stata repressa spietatamente<br />

nel sangue è del tutto secondario. <strong>In</strong>fatti,<br />

per Canfora l’intervento dell’Urss ebbe in quel<br />

frangente effetti positivi e si limita a sottolineare<br />

soltanto che “quello che ai protagonisti non fu<br />

chiaro, per lo meno non a tutti, fu che procedure<br />

di esportazione manu militari di un modello politico-sociale<br />

(considerato irrinunciabile e perciò<br />

meritevole persino di un disastroso crollo di immagine)<br />

non si possono ripetere due volte” (pag.<br />

45): per <strong>questo</strong> motivo, una decina di anni dopo,<br />

ebbe esito diverso l’invasione dei carri armati del<br />

Patto di Varsavia in Cecoslovacchia per impedire<br />

il rinnovamento politico tentato da Dubcek.<br />

Per nobilitare e giustificare l’invasione militare<br />

sovietica in Ungheria, Canfora, che pensa con<br />

nostalgia alla divisione del mondo stabilita a Yalta,<br />

propone un inaccettabile confronto con il Guatemala<br />

del 1954, quando gli americani nella loro<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

128<br />

area d’influenza erano intervenuti in quel Paese<br />

per tutelare gli interessi della “United Fruit Company”<br />

(pag. 41). Canfora per difendere l’indifendibile<br />

evita di dire che il colpo di stato contro il<br />

governo legittimo del Guatemala si ridusse al finanziamento<br />

da parte della Cia di pochi mercenari<br />

e all’invio di mezzi aerei del Nicaragua, cosa<br />

ben diversa dalla repressione della rivolta ungherese<br />

fatta con ingenti mezzi militari che provocarono<br />

la morte di moltissime persone.<br />

Canfora svolge tutto <strong>questo</strong> percorso per dare<br />

maggiore credibilità alla sua tesi e colpire con<br />

maggiore forza il suo vero bersaglio, il suo nemico<br />

di sempre, l’Occidente, il mondo liberale ed in<br />

primo luogo gli Usa. Gli Americani sostengono di<br />

esportare la libertà, dice Canfora, ma in realtà si<br />

tratta di una copertura retorica per giustificare il<br />

loro espansionismo. <strong>In</strong> questa chiave vede i fatti<br />

avvenuti dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre<br />

2001. Anche Benedetto XVI diventa funzionale<br />

a questa logica di potenza, infatti tra i<br />

suoi consulenti per la politica estera c’è Kissinger<br />

(pag 79), che fu tra i responsabili del golpe cileno<br />

del 1973 e dei crimini avvenuti per “esportare<br />

la libertà” in quel Paese (pag. 69).<br />

<strong>In</strong> <strong>questo</strong> pamphlet, che è interessante soprattutto<br />

per capire la crisi di un intellettuale organicamente<br />

comunista, Canfora non riesce a celare la<br />

sua nostalgia per l’Urss e per la divisione del<br />

mondo sulla base degli accordi di Yalta e di Potsdam:<br />

“La causa ‘anti-imperialista’ è nelle mani<br />

dissennate e pre-politiche del ‘partito di Dio’, o<br />

della casta sacerdotale iraniana o del suo braccio<br />

armato” (pag. 78). Da ciò la sua visione catastrofica<br />

di un mondo che va verso la barbarie,<br />

perché non sa riconoscere che nel Novecento<br />

pur attraverso immani tragedie, quella del nazismo<br />

prima e del comunismo poi, la libertà, anche<br />

grazie agli americani che l’hanno esportata, oggi<br />

è più estesa e si può guardare al futuro con ottimismo.<strong>In</strong>fatti,<br />

come ha spiegato Benedetto Croce,<br />

la libertà è “l’eterna formatrice della storia,<br />

soggetto stesso di ogni storia” e nella storia “quel<br />

che solo e sempre risorge e si volge e cresce è<br />

la libertà, la quale […] delle apparenti sue sconfitte<br />

si vale a stimolo della sua stessa vita”.<br />

<strong>In</strong> realtà con Esportare la libertà Canfora non<br />

convince e dimostra soltanto che lui, in un mondo<br />

senza Urss, è una “coscienza infelice”.

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