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EDITORIALE<br />
mercato e dall’altro, ma in posizione asimmetrica e subalterna, la<br />
politica. Mancava all’appello, però, un terzo soggetto per nulla irrilevante:<br />
la società. La società è stata la grande esclusa di questi anni,<br />
espulsa dalla riflessione interna a questo campo come se fosse interamente<br />
sussunta e rappresentata in ciò che Joseph Stiglitz oggi può<br />
chiamare «fondamentalismo mercantile», ma che già negli anni 30<br />
Karl Polany aveva definito «market society». Dinanzi all’emergere di<br />
una crisi sempre più ampia, che coinvolge non solo la finanza, non<br />
solo l’economia, ma il modello stesso che le ha finora “orientate” e la<br />
lente che ne ha filtrato la lettura, emergono però due posizioni.<br />
Prima posizione. Dinanzi a questa crisi, non sembrano “eversivi”<br />
discorsi che affermano che non è certo equa una società globale –<br />
rimarchiamo che non è solo un problema italiano – dove il 10% della<br />
popolazione detiene il 48% della ricchezza. È una questione capitale,<br />
per comprendere anche come sia stato possibile muoversi all’interno<br />
di un campo di retoriche liberiste senza talvolta cogliere quel<br />
fenomeno di vantaggio competitivo che Merton chiamava «effetto<br />
San Matteo». Un effetto che premia chi ha di più in termini di risorse<br />
materiali e immateriali, e penalizza gli altri e mina fortemente un<br />
principio di eguaglianza modellato su un mercato inteso come tabula<br />
rasa. Dove retoricamente si afferma che tutti partono eguali e<br />
“nudi” e arrivano alla meta portandosi addosso ciò che, se sono stati<br />
bravi imprenditori di se stessi, sono riusciti a conquistare o a guadagnare.<br />
Noi sappiamo che non è così, e i dati lo dimostrano. La crisi<br />
che ha investito la retorica di un mercato come mondo degli eguali,<br />
l’enorme disparità tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più<br />
poveri, come afferma nel suo intervento Daniel Rigney, chiama tutti<br />
a una riflessione seria, pacata, ma sinceramente critica sul rapporto<br />
tra democrazia e capitale. È un tema aperto, da affrontare senza preclusioni<br />
e dogma, toccando punti particolarmente nevralgici, dalla<br />
crisi della politica al rapporto tra mercati e democrazia. A fronte di<br />
questo, si diramano alcune posizioni, più o meno condivisibili, più o<br />
meno radicali. Di fronte alla crisi del modello che ha ipotecato il<br />
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