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IL BUON USO DEL MONDO<br />
SUL FARE ARTIGIANO/2<br />
Anche oggi gli artigiani non solo vivono, ma fondano comunità.<br />
Le comunità artigiane tradizionali, che tramandavano da una<br />
generazione all’altra il sapere tecnico, tendevano comunque a<br />
non fissarlo in forma immutabile. Tutto il contrario di quanto<br />
avviene nei sistemi chiusi e burocratici, dove ogni soluzione<br />
deve arrivare al termine di una procedura definita e preordinata<br />
dialogo con Richard Sennett<br />
sociologo<br />
U scire dalla crisi, certo, ma quale via intraprendere? Richard<br />
Sennett è chiaro: la via artigiana. «Il buon lavoro, il lavoro fatto<br />
ad arte, con sapienza e intelligenza, il lavoro che impone tempo per<br />
formarsi, per apprendere, non solo per “fare”», osserva il sociologo<br />
della London School of Economics, «è importante. Importante per<br />
vivere bene e per questo l’uomo artigiano è, oggi più che mai, un<br />
modello cui ispirarsi». La proposta di Sennett muove dalla precisa,<br />
radicale considerazione che il nostro fare non è mai slegato dalle<br />
emozioni e dalla cura di sé che, veicolata, al contempo, da un oggetto<br />
“creato” con passione e competenza, manifesta rispetto concreto<br />
per gli altri. La vecchia distinzione, che ha plasmato tutta la cultura<br />
dell’Occidente, tra un sapere esclusivamente finalizzato e tecnico e<br />
uno più speculativo, gerarchicamente superiore al primo, non regge<br />
più la prova dei fatti. Non regge, soprattutto, la distinzione tra homo<br />
faber e homo laborans che la maestra di Sennett, Hannah Arendt, da<br />
COMMUNITAS 55 - KRISIS • 203