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ANDREA TAGLIAPIETRA<br />
Tagliapietra: Sia come genere letterario, sia come forma mentis l’apocalisse<br />
nasce dallo scontro tra una cultura vincente, quella greca<br />
appunto, e una cultura perdente, quella orientale o semitica. Dallo<br />
scontro con la cultura greca nasce l’apocalittica come reazione culturale<br />
della parte che soccombe. Di fatto, la vicenda della spedizione di<br />
Alessandro Magno in Oriente rappresenta un gesto di imperialismo<br />
culturale che fonda la cosmopoli ellenica, l’impero antico. Tanto la<br />
Grecia è pensiero del logos che esprime anche una volontà di potenza,<br />
quanto l’apocalisse è una risposta in termini di contrapposta<br />
volontà di potenza. Risposta a una crisi epocale. Oggi, dinanzi alla<br />
crisi che stiamo vivendo, c’è effettivamente un profluvio di riprese<br />
dell’immaginario, dei simboli e del tema apocalittico. Vorrei però<br />
sottolineare con forza che, per la prima volta nella storia dell’uomo,<br />
a differenza di tutte le crisi che ricorrentemente, nel nostro passato<br />
culturale, abbiamo vissuto, quella in cui ci troviamo è una crisi in cui<br />
realmente ci si misura con la fine delle risorse, del pianeta, di una<br />
certa idea di umanità. Per la prima volta, la questione della fine non<br />
si consuma all’interno del “sì” o del “no” all’immagine della fine, o<br />
all’immagine dell’infinito come negazione della fine, ma diventa uno<br />
scontro tra un apparato simbolico e dei limiti strutturali. Questa<br />
forza fa sì che emerga in tutta la sua chiarezza l’ambivalenza che il<br />
pensiero apocalittico ha sempre avuto. Perché l’apocalisse, se prendiamo<br />
ad esempio l’Apocalisse di Giovanni, dopo un brevissimo prologo<br />
catechetico, altro non è che una sequenza di immagini. Questa<br />
sequenza di immagini presuppone uno spettatore, qualcuno che<br />
guarda. Il paradosso dell’apocalisse è dunque quello di essere una<br />
fine con spettatore. La fine di tutte le cose presuppone quindi la<br />
sopravvivenza dello spettatore, con la conseguenza che mettersi dalla<br />
parte dello spettatore significa affrontare la visione orrorifica della<br />
fine ma, allo stesso tempo, sopravviverle. L’ambivalenza dell’apocalittica<br />
è la fine di un mondo a cui, però, in qualche modo abbiamo la<br />
certezza di sopravvivere. A livello dell’apocalittica, nella fine di tutte<br />
le cose, troviamo pienamente operante quel dispositivo psicologico<br />
COMMUNITAS 55 - KRISIS • 71