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11a2013_communitas 5.. - CHERSI/libri

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POVERTÀ DELLA POLITICA, POLITICA DELLA POVERTÀ<br />

gicamente il concetto di <strong>communitas</strong>; e maliziosamente aggiunge alla già<br />

complessa serie di coppie antitetiche in cui si esprime l’ambivalenza del<br />

dono, anche quella che distingue tra “dono sincero” e “dono avvelenato”.<br />

La storia, in effetti - come il mondo del mito e delle favole - è piena<br />

di doni avvelenati. Di offerte apparentemente amichevoli che portano la<br />

rovina per chi le riceve: il cavallo di Troia e il vaso di Pandora, il pomo<br />

di Adamo e il bacio di Giuda, la mela di Paride e quella della strega di<br />

Biancaneve. Così come la nostra attualità è invasa da quelli che<br />

Malinowski chiamava gli opening gifts, “doni di sollecitazione”: «Una<br />

specie di paccottiglia distribuita rapidamente, e come senza pensarci»,<br />

così li descrive Caillé, «che non ci richiede sforzi, ma che ci permette di<br />

assicurare in un attimo la presentazione di noi stessi, di collocarci socialmente<br />

e di valutare con chi abbiamo a che fare».<br />

A ben guardare dalla pratica del dono non è solo nobilitata la dimensione<br />

alta della vita sociale – l’attività di volontariato, la faticosa opera di<br />

ritessitura della socialità dissolta dalla distruttività delle relazioni esasperate<br />

di mercato, il lavoro di chi non rinunci a “fare società” nel circuito<br />

pulito delle reciprocità –. Di essa è intessuto anche lo strato basso, per<br />

molti versi sordido, delle relazioni informali d’interesse e di potere, la<br />

costruzione delle reti di complicità e di dipendenza personale, di protezione<br />

e di fedeltà di quel grande sommerso informale (e illegale) che<br />

inquina la vita pubblica italiana. Donano e ricevono doni tutti i partecipanti<br />

ai perversi circuiti della corruzione e della raccomandazione, che<br />

implica appunto un sistema di scambio informale e di restituzione differita<br />

del tutto omologo a quello del dono. Donano e ricevono doni i<br />

“padrini” e gli “uomini d’onore” delle diverse mafie, che costruiscono così<br />

il reticolo pervasivo delle fedeltà e delle obbligazioni a cui non ci si può<br />

sottrarre.<br />

Ora, se c’è una via, maestra, per riscattare la dimensione virtuosa del<br />

dono, e per scoraggiarne la degenerazione “velenosa” – una condizione<br />

necessaria, anche se non sufficiente, per evitarne la degenerazione di una<br />

pratica potenzialmente virtuosa in atto di asservimento – questa consiste<br />

nel rigoroso controllo del suo “uso pubblico” e insieme nella contempo-<br />

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