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Creaturine - Sardegna Cultura

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quanto accettarlo, pur così erano sempre in maggioranza<br />

i secondi sui primi, ma sia gli uni sia gli altri nel momento<br />

in cui il bicchiere veniva accostato alle labbra avevano un<br />

brivido tacito, una sorta di curioso dubbio li attraversava.<br />

Iolanda li conosceva un po’ tutti i suoi clienti, perché<br />

tutti prima o poi passavano di là. Era per via di quel dente<br />

che sporgendo sulla via della stazione induceva i molti a<br />

fare sosta. Tutti: dai ferrovieri ai capistazione, al maestro<br />

Grondona, agli acquaioli, ai portalettere, agli artisti, dalle<br />

maestranze delle fabbriche di tappi ai capitani di vascello<br />

che riempivano il locale dei loro racconti seminventati di<br />

naufraghi impiccati alle costellazioni o di viaggi sereni<br />

lungo alisei e rotte più tiepide e meridionali che non rapivano<br />

Iolanda ma che portavano al caffè un tocco che non<br />

le dispiaceva muovendo un bel venticello tropicale tra i<br />

fiori dei suoi tavoli. Il vento si mischiava ad altre brezze,<br />

correnti, zefiri e mulinelli d’aria buona, di mattinata da<br />

costruire che odorava di lavoro, di ferri, di legname, di ottoni,<br />

di cucito e tutto quanto ognuno si portava dietro per<br />

mescolarsi nell’odore dell’altro. Odore di lavoro promesso<br />

e di legno da intagliare, di metallo da squagliare, di onde<br />

e di erba, di navi e di orto, di caglio, di treno e di farmacia,<br />

di sapone sulle marsine appena lavate, di lavanda sulle<br />

camicette, di ferro caldo e di mutande stirate, odore di<br />

giornata da sfruttare in tutta la sua pienezza di tempo, un<br />

tempo aperto e bianco generato per essere scritto, un tempo<br />

solido come cibo offerto per essere consumato.<br />

Iolanda si muoveva tra i tavoli immersa nella memoria<br />

del suo mestiere, domandava, si voltava e rispondeva, rispondeva<br />

ancora, si voltava e salutava, salutava gli acquaioli,<br />

i braccianti e i cantonieri, perché tutti, quasi tutti,<br />

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conosceva per via di quel dente sfuggito alle gengive del<br />

vicolo e finito sulla via della stazione, quasi tutti conosceva<br />

perché tutti propendevano per una sosta al La bella Zara,<br />

o da Iolanda, o al Godimondo per sorbire un filtro d’amore,<br />

un afrodisiaco, un caffè magico ai tavolini decorati<br />

con finta madreperla mescolati nell’odore di altri mondi<br />

senza altro scopo che di chiedere alla vita il dono di quel<br />

fugacissimo dubbio all’approssimarsi sulle labbra del bicchiere.<br />

Iolanda se ne compiaceva, li capiva e se ne felicitava: –<br />

Un attimo e sono da tutti, – gridava dal centro della sala<br />

scivolando senza intralci sulla rotta del suo mestiere, li conosceva<br />

tutti per via di quel dente sul passaggio, sulla via<br />

del viaggio, dai cartolai agli orologiai, ai soldatini della<br />

Spedizione Geografica, ai negozianti di Mores, alle signore<br />

perbene sottobraccio ai loro sposi, le giovani donne<br />

dalle candide cuffie allacciate sotto il mento, silenziose e<br />

riservate, sedute composte, inclinano il capo e guardano<br />

di fuori oltre la porta d’ingresso, nella mattina nevosa, dove<br />

il fantasma del loro amato invecchiato di cinquant’anni<br />

sta transitando a fatica sull’altro lato della strada mentre<br />

loro si riscaldano le mani sul vetro di una bevanda fumante<br />

che vanno sorseggiando sotto lo sguardo incantato del<br />

proprio sposo seduto accanto.<br />

Alla chiusura del mezzogiorno il locale si svuotava, Iolanda<br />

Zara oscurava l’ingresso e, aperta la porticina sul retro,<br />

sedeva a uno dei tavoli scaldandosi al sole e nel profumo<br />

che risaliva dai campi di tabacco. Consumava il suo<br />

pasto in solitudine, poi sfogliava la rivista del mese. Così<br />

era da sempre.<br />

Un amore di quelli eterni l’aveva abbandonata vent’an-<br />

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