Creaturine - Sardegna Cultura
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trariata. Come un poveretto qualsiasi suo padre non era<br />
stato capace di reggere l’urto della prova più importante.<br />
Eppure avevano fatto tutto così per bene. Sino ad allora.<br />
Avevano atteso con speranza la fine della donna senza mai<br />
parlarne. Passami il sale, versami l’acqua. Ogni parola,<br />
ogni gesto tra loro, a tavola, sembrava interpretare quel<br />
desiderio, “speriamo che sia oggi.” Ora, giunti al dunque,<br />
lui la lasciava sola.<br />
– Hai visto? Hai visto cos’è successo? – le aveva detto<br />
con gli occhi arancione da vedovo. Aveva visto, sì. Ma non<br />
era ciò che si attendevano? Non era ciò che tante volte s’erano<br />
augurati nel codice segreto della tavola? Forse non<br />
era così allora, forse s’era sbagliata (forse non c’è niente di<br />
più casuale d’un gesto, anche quando pare più eloquente<br />
di un’intera armata di parole, anche allora, nella sua forma<br />
baciata, nasconde le sembianze di un equivoco).<br />
Bianca credette di poter ricucire in fretta la situazione.<br />
Credette a un momentaneo smarrimento del genitore e<br />
che presto tutto si sarebbe ricomposto nel disegno di una<br />
vita nuova. Attese inutilmente un segno liberatorio che<br />
potesse indicarle una via d’uscita ma nessuno spiraglio di<br />
luce si fece vivo nella casa sprofondata nel silenzio.<br />
Quindici giorni dopo la morte di sua madre si rigirava<br />
nel letto senza più sonno interdetta al cospetto di una notte<br />
che non finiva più, andò alla finestra e l’aprì ma invece<br />
dell’aria che cercava trovò i legni che ne sbarravano la luce<br />
del giorno, uscì dalla sua stanza inorridita al pensiero<br />
che suo padre volesse murarla viva ma con sollievo s’accorse<br />
che malgrado la tenebra in cui era immersa la casa,<br />
la porta d’ingresso era solo accostata. Lo cercò nelle stanze,<br />
nella legnaia, nel cortile, lo chiamò babbo! babbo! ma<br />
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dell’uomo non vi era più traccia. Lo cercò nella campagna<br />
e sui binari morti. Lo esortò a tornare parlandogli, dicendogli<br />
babbo dove sei perché non torni? anch’io volevo bene<br />
alla mamma disse, disse così anche se le aveva rovinato<br />
l’esistenza nella vita e ora pure nella morte, lo disse per<br />
salvare quel po’ di salvabile che era rimasto, per salvare<br />
l’ultimo impasto di famiglia che restava, lo urlò tra le oche<br />
impalate ad ascoltarla, piantata al centro del cortile come<br />
un pero, poi abbassò la voce e si rivolse alla madre chiamandola<br />
puttana, – Vecchia puttana, – sibilò, – sarai contenta<br />
adesso. – Si portò una mano alla bocca un po’ per<br />
pentimento un po’ per ripulirla dalla terra. Tornò dentro<br />
casa ma lasciò tutto com’era, le imposte abbassate, la penombra<br />
ovunque. Quando suo padre avesse deciso di ritornare<br />
avrebbe trovato tutto come lui voleva. Si richiuse<br />
la porta alle spalle lasciando fuori i mesi a scorrere lentamente<br />
e nel buio profondo tastò l’aria con le mani protese<br />
in avanti, camminando piano, sperando nel miracolo di<br />
un volto, come allora, quando nel gelo del vagone le sue<br />
dita avevano sfiorato il viso di Nicola. Accese le lanterne<br />
in ogni stanza e si fermò in cucina a rigovernare tre giorni<br />
di piatti sporchi. Immerse le mani nell’acqua del paiolo<br />
stracarico di stoviglie e cominciò a passare lo straccio, lenta,<br />
su ogni piatto, uno per uno, senza mai distogliere lo<br />
sguardo dalla sua immagine riflessa tra le schiume della<br />
saponaria. Fece brillare i bicchieri, riordinò i cucchiaini,<br />
spazzò sotto i tavoli, riattizzò il fuoco nel camino, rifece i<br />
letti nelle stanze. Lo ripeté per giorni e giorni sino a che<br />
ogni cosa non fu tornata a posto e più niente vi era da sistemare.<br />
Allora prese la scala a pioli e a martellate assicurò<br />
per bene le assi schiodate del soffitto, suturò le ferite dei<br />
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