Creaturine - Sardegna Cultura

ne più distanti sbocciate di gocce arancione - fiori imprevisti,
gocce di gennaio minuscole e fitte come ammassi
stellari in un cosmo tutto verde - le colline dove il vento
aprendo l’erba sembrava tracciare messaggi di salvezza,
vieni avanti, vieni da questa parte (ma fa presto), tanto
che gli sembrò (ne fu certo) di vederlo, il vento, in piedi
sulla cima della collina, fargli segno di seguirlo, da questa
parte, da questa parte ragazzo, non sai leggere ciò che
scrivo sull’erba?
Il ragazzo si levò in piedi e fece il mezzopasso.
– Posso andare signora?
La donna non rispose. Smise di cantare e riprese a parlare.
Di sé, dei suoi figli, dei suoi anni più belli, del pomeriggio
in cui il suo sposo l’aveva dichiarata indispensabile.
Nicola le si accostò facendo piano e a passetti brevi, e
quando le fu accanto si chinò, le posò due dita su un ginocchio,
si distrasse un secondo per un grumo di sporco
che grattò dal legno e ripeté: – Posso andare signora? allora
posso? – e dicendolo, ora che lei lo guardava così da
vicino, egli vide emergere sulla superficie di quel volto le
linee ereditarie che la donna aveva trasmesso a Bianca.
(Bianca che lo guardava dal fondo della vecchiaia, alla fine
del tempo, Bianca di cent’anni, dilacerata sulla sedia
come una bambola rotta, i suoi stessi occhi, la curva del
mento, la stessa bocca che lo chiamava amore divenuta
vizza).
Non gli restava più molto tempo. Una volta sulla cima
della collina si voltò per un’ultima occhiata alla casastazione
dove tutto appariva calmo. I polli razzolavano il terreno
intorno come sempre, dalla legnaia nessun segno,
dalla casa tanto meno. Madre e figlia se ne stavano lì, tran-
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quille in diverso modo, una seduta, l’altra addormentata,
l’una in attesa di addormentarsi per sempre, l’altra svegliandosi
troppo tardi.
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