Creaturine - Sardegna Cultura

vrebbero condotta ad attraversare le età: – Venga Fuori
Farabutto. – Tre parole in ordine alfabetico ascendente,
trovate a caso nel sacchetto di vocaboli spenti che non
aveva utilizzato più. Trascorsero otto o forse dieci secondi,
poi il ragazzino venne fuori con le mani in alto; aveva
un cappello rosso in testa ed era bello. La bellezza fece
molto male alla donna e una squama si staccò dal suo volto.
Il ragazzo aveva calzoni azzurri al ginocchio e un cappello
rosso in testa, le sua mani erano quelle di un bambino,
disse: – Non ho fatto niente signora. – La donna s’incattivì
nell’udirne la voce limpida, il timbro innocente,
sollevò la canna del fucile verso la bocca del giovane, il
giovane era bello e non solo, portava con sé aria salata e
un sentore di mostri marini. La donna si fece avanti di un
passo e lo scrutò a fondo, inarcando un sopracciglio e a
Nicola non sfuggì quel movimento sul volto e se ne rallegrò,
sembrava un segnale di presenza inviato dal corpo
ma lo sguardo era ancora duro, le cornee arricciate e rosse.
Intorno a loro secchi con resti di biada bagnata, badili,
basti appesi al chiodo, pareti di ceppi su ceppi, verdura
marcia raccolta agli angoli.
– Quanti anni ha? – chiese Marta Giordano senza abbassare
il filo della canna.
– Diciassette, – rispose il ragazzo con le mani ancora
levate al soffitto e il cappello che gli era scivolato su un
orecchio.
– Diciassette… – mormorò la donna ripetendosi il numero.
– Le guardie sono a tre ore da qua Nicola, e la cercano,
e lei sa di che cosa sono capaci… – Il giovane ammutolì.
– Il capitano è fatto così lei lo conosce, a lui piace
cercare, cercare, cercare, – e così dicendo muoveva a cer-
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chio il fucile come per accompagnarne l’idea, – ma quando
trova poi, quando poi trova allora… lei sa com’è fatto
il capitano, – ripeté sorridendo, – lei sa com’è fatto.
Le guardie a tre ore, Nicola non poteva udire parole
più dilanianti.
– Ma siccome mi ha chiamata signora, e benché sia stata
io ad avvisarli, per questo la lascerò andare, – il giovane
non si mosse, – dirò che mi ha fatta fessa, – il giovane accennò
un mezzo passo, meno di mezzo, un’intenzione
più che un movimento. – Ma aspetti, – lo precedette lei, –
mio bell’orfanetto, – aspetti aspetti, ripeté come si fa versando
vino all’ospite che troppo presto vuole scappare
via, non corra subito via (non correre subito via tu così
profumato di persecuzione e di disgrazia, profumo che
mi fa star bene, abitante l’aperto, tu che non avrai altro
dio che la solitudine e la cui allegria sarà solo uno sconto
alla tua disperazione, tu che ti incamminerai al solo scopo
di camminare, che ti ciberai al solo scopo di masticare e
così per il bere, cacare, saltare, sorridere, non correre così
presto via).
Aspetti gli disse ancora avvicinandosi e bussandogli il
fucile sul petto, la bocca del fucile gelata su un triangolo
di pelle scoperta, la voce della morte in gola alla canna.
– Prima mi dovrà ascoltare, – sussurrò invitandolo ad
arretrare, – sieda, – il suo tono stava divenendo calmo e
ciò era tanto più allarmante, – e ascolti. – Il ragazzo aveva
scarpe di fango, il suo culo azzurro si gelò sulla giara rovesciata.
Poi sedette anche lei, su una sedia dalla paglia impazzita,
e abbassò il fucile, lo posò sulle gambe con cura e
una punta di tenerezza, come fosse uno strumento musicale,
e cominciò a parlare. Parlò di sé, dei suoi bambini,
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