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Creaturine - Sardegna Cultura

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una vecchia stracciata e fuori corso. Ma quel mazzetto<br />

non includeva purtroppo quella della mano nel taschino,<br />

così il cane gli apparve improvviso, rabbioso, gocciolante<br />

di bave nel vano della finestra. Il ragazzo indietreggiò incredulo<br />

davanti al cranio fradicio dell’animale che orrendo,<br />

sboccato, gli versava addosso il suo turpiloquio; incespicò<br />

e cadde e nel rialzarsi poté notare che alle spalle<br />

della bestia, in una lontananza indecifrabile avanzavano i<br />

fuochi delle torce della Guardia Nazionale. Lanciò uno<br />

sguardo verso l’unica plausibile via di fuga, lo squarcio<br />

della porta. Il cane lo fissava ed egli già si vedeva dilaniato,<br />

le sue mani mozzate appese all’alloro come un addobbo,<br />

i piedi senza alluci, la testa deposta in una gabbietta<br />

all’ingresso della città.<br />

Corse per la notte intera e per il successivo giorno e per<br />

la notte ancora con i fuochi delle torce alla medesima lontananza<br />

e il cane instancabile alle sue spalle. Corse per altri<br />

tre giorni coi fuochi a duecento metri e il cane alle calcagna<br />

fradicio e sereno. Corse ancora per un altro giorno<br />

e mezzo involandosi per i bivi giusti, scoprendo prodigiose<br />

scorciatoie, riconoscendo le scie positive, il tratto propizio,<br />

l’alone d’amicizia sulla terra dei sentieri, sinché alle<br />

undici di un bel mattino di gennaio il suo fiuto non lo fece<br />

balzare su un treno di passaggio sopra il quale nello slancio<br />

picchiò la testa e svenne, giacendo come morto sulle<br />

tavole di un carro bestiame occupato da un unico cavallo<br />

mentre il convoglio varcava i confini della pianura e si<br />

contorceva come un rettile lungo il pendio. Quando rinvenne,<br />

la dolcezza del giorno pieno gli diede presto tranquillità.<br />

Si mise a sedere sul fieno e guardò di fuori. Il cielo<br />

era terso, la terra soleggiata, isolotti di vacche abitavano la<br />

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distesa d’erba dell’inverno; il ragazzo poggiò la testa ai legni<br />

e socchiuse gli occhi dissetandosi di sole e di fioriture<br />

di campo. Alle stazioncine osservò il caracollare dei viaggiatori<br />

sotto i loro carichi, le corse dei ritardatari, i drappelli<br />

di soldati. Vedeva la gente salire e scendere, perdere<br />

le ceste dalla testa per la concitazione e rincorrere le mele<br />

rotolate sui binari; vedeva famigliole affrettarsi coi vestiti<br />

del viaggio e le gabbiette per gli uccelli e le cappelliere in<br />

mano. Ascoltava il liquefarsi l’uno sull’altro dei dialetti,<br />

ascoltava saluti, parole d’amore, sospiri, nomi, nitriti, minacce,<br />

preghiere, addii; (non ti rivedrò?) ascoltava il cielo<br />

della sera finalmente, il cielo dell’isola che sorseggiando<br />

nell’imbrunire una stella dietro l’altra lo accompagnava<br />

nel tepore del cavallo e dell’odore dolce del suo sterco<br />

verso la stazioncina di Molafà, la piccola stazione di campagna<br />

dove il treno vuoto e ansimante concluse la sua corsa<br />

col solo carico di un passeggero addormentato. Nicola<br />

sognò il cavallo che nel discendere dal convoglio tirato<br />

dalla corda del suo padrone si era voltato e gli aveva detto:<br />

– Cosa ci sarà stato da divertirsi tanto.<br />

Nicola dormì sette ore sul treno a riposo, sotto le meraviglie<br />

del cielo invernale vegliato dalle volpi e dai barbagianni.<br />

Nicola riposò nella pace del fieno. Al mattino, nel risvegliarsi,<br />

i suoi occhi ancora pieni d’acqua di cane e della luce<br />

della corsa si incontrarono con quelli infinitamente neri<br />

di Bianca Pes, la figlia del cantoniere.<br />

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