Creaturine - Sardegna Cultura
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fuori moda, i suoi occhi di semplice bigiotteria a conquistarla.<br />
E insieme a quelli era stata attratta dall’incendio<br />
che vedeva divampare in lui ogni qualvolta metteva all’opera<br />
quelle sue mani da dottore. Al termine della mattinata<br />
di lavoro quando il marito si chiudeva alle spalle la<br />
porta dell’ambulatorio attiguo alla cucina quello che lei<br />
vedeva venire avanti non era un qualunque uomo di medicina<br />
ma una sorta di medico pittore, in qualche modo<br />
un uomo d’arte.<br />
Non c’era da intervenire dunque perché qualsiasi ritocco<br />
avrebbe potuto alterare quello sguardo autunnale,<br />
quegli occhi sprofondati nelle orbite che l’avevano guardata<br />
per la prima volta attraverso le lettere del Godimondo,<br />
quegli occhi grigi e vagabondi che le sorvolavano il viso<br />
durante l’amore come due aeroplani dispersi.<br />
Durante l’amore era tutto così insolito che lei si domandava<br />
se per tutti fosse così. Bianca ne pronunciava il nome<br />
all’infinito. Formulava un rosario di Rosarii che fuoriuscivano<br />
dalla sua bocca scivolando via tra le labbra di<br />
lui e quelle di lei, consonanti e vocali che poi andavano a<br />
galleggiare per la stanza appendendosi ai piedini delle<br />
sue bambole mentre lui le planava sopra coi suoi occhi<br />
aperti di uomo spaventato e incredulo di poter fare ciò<br />
che andava facendo. L’amore nel quale egli procedeva<br />
così come si deve, dandosi da fare per quanto poteva, a<br />
volte cedendo a qualche singulto di troppo, a volte divagando<br />
col pensiero, distraendosi per un nulla e inspiegabilmente<br />
pensando ad altro nonostante la bellezza che si<br />
ritrovava tra le mani.<br />
Un bel giorno nel pieno dell’eruzione lei gli morse un<br />
labbro e gli sussurrò: – Ci lasciamo?<br />
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Né l’indomani davanti a caffè e giornale né mai trovò<br />
l’attimo buono per domandarle il perché di quella pazzia,<br />
una stravaganza, un capriccio, il piccolo e tenero delirio<br />
di una bambina.<br />
Così non le chiese mai niente preferendo mettersi all’ascolto<br />
dei suoi paesaggi o aprendone lo scrigno della<br />
schiena per gettarsi a capofitto nell’oceano di foglie dei<br />
suoi sottoboschi, attraversare i suoi paesini illuminati,<br />
camminare a piedi nudi lungo i viali dei suoi giardini<br />
circondato da statue e animali in libertà.<br />
– Cos’hai visto? – gli domandava allora lei, sua moglie,<br />
la ragazza di Molafà, appena lo vedeva riemergere da<br />
quei deragliamenti.<br />
– Cos’hai visto dottore? gli domandava ancora, ancora<br />
affondando il naso tra i suoi capelli dove le era possibile<br />
udire il rumore della pioggia in arrivo o respirare gli aliti<br />
infuocati delle mongolfiere.<br />
– Ho visto quel che ho visto, – mormorava lui da dietro<br />
il fumo di una tazza.<br />
– Ed io non posso entrarci?<br />
– Te lo scrivo qua, – le rispondeva pacifico vergando<br />
col dito freghi d’aria sulla tovaglia e sorridendo di gusto<br />
sotto i baffi.<br />
– La prossima volta sarai più gentile, – lo interruppe lei<br />
un giorno gettandogli una buccia di mela dentro il latte,<br />
– su, bevi ora, bevi se puoi, – e così via sino a bersagliarlo<br />
di croste di pane e costringerlo alla guerra.<br />
Ho visto quel che ho visto. E poi c’erano altre visioni,<br />
certamente diverse, quelle che lo inseguivano quando<br />
s’allontanava da casa. Veniva sopraffatto dal pensiero di<br />
perderla quando con gli amici sedeva al caffè della vedo-<br />
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