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Creaturine - Sardegna Cultura

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scava direttamente nei tanti secchi posti sotto i soffitti del<br />

suo corpo ridotto a un colabrodo. Un animale aperto dalle<br />

cui carni crivellate filtrava la luce. Di questo d’ora in<br />

avanti doveva tenere conto. Nonostante le dita ancora<br />

sporche di giocattoli e la pelle acerba dei sedici anni egli<br />

doveva già pensare a una paziente opera di restauro. Era<br />

un essere bucato. La sua calotta cranica, quello straordinario<br />

planetario in cui solo poche settimane prima risplendevano<br />

le stelle, ora gocciolava. E poi doveva fuggire.<br />

Filare. Correre. Queste erano le parole del suo nuovo<br />

vivere: fuga, fuggire, fuggitivo. Senza indugi o tentennamenti<br />

di sorta. A lui non era concesso il tempo della scelta.<br />

Le strade dovevano essere infilate al volo e per far bene<br />

questo doveva imparare a masticare con giudizio le carni<br />

magiche di un’altra parola fondamentale: quel Fiuto senza<br />

il quale la sua vita sarebbe stata persa. Sentieri e bivi,<br />

strade, boschi, radure e casolari dovevano essere riconosciuti<br />

per le loro scie positive, il tratto propizio, l’alone<br />

d’amicizia che egli doveva essere in grado di individuare<br />

con acume di latitante e senza possibilità di errori se non<br />

voleva finire sgozzato prima o poi dalle lame e dai morsi di<br />

qualche uomobestia randagio.<br />

Mise le mani in tasca il piccolo essere disperso e fradicio<br />

come se davvero abitasse il salottino di una dimora<br />

calda e protettiva e con le mani in tasca potesse dilettarsi<br />

ad accompagnare con lo sguardo la corsa delle gocce che<br />

tagliano la strada ad altre gocce sul vetro che s’appanna<br />

del suo alito. Erano le quattro del pomeriggio e doveva<br />

essere Natale da qualche parte lì vicino. Da quelle parti,<br />

poco sotto il ciglio dell’altopiano, proseguendo per alture<br />

e valloni dove i villaggi si susseguono ai villaggi come<br />

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escrescenze del terreno, doveva esservi odore di legna<br />

bruciata per le vie e pane nelle credenze. E sulle pietre accanto<br />

ai pozzi, al chiuso delle abitazioni doveva esservi la<br />

mangiatoia e il bel gesù pasciuto e caldo. Si guardò intorno<br />

Nicola, guardò l’interno del rudere, i sassi, l’erba, l’alloro,<br />

guardò il presepio spoglio in cui versava l’altopiano,<br />

nessun pastore, nessun dono in viaggio per lui poiché suo<br />

padre aveva bestemmiato quando sprofondato nelle<br />

spiagge del piacere non aveva abbandonato in tempo il<br />

ventre di sua madre. Era così e non poteva essere diversamente<br />

e la forza di quella bestemmia era ben visibile sul<br />

volto dell’orfano sfigurato dalle acque. Il naso perfetto, le<br />

sopracciglia, la mascella tagliente come un filo di falce<br />

erano il frutto dello scontro celeste tra la felicità degli organi<br />

e le bassezze umane. Nell’incavo di quella deflagrazione<br />

erano probabilmente conservati i segreti della bellezza<br />

e il fascino irridente del lutto e della perdita. Nicola<br />

barcollò divorato dal diluvio che per niente dirompente<br />

ma silenzioso, compatto, indistruttibile, gli scivolava addosso<br />

levigandogli i lineamenti e facendogli risplendere<br />

la pelle di un bel verde rana. Se tutto fosse potuto tornare<br />

come prima: avrebbe fatto il possibile perché la vita non<br />

gli si ingarbugliasse fino a quel punto. Ma adesso era il<br />

presente a dover essere affrontato e la minaccia che si<br />

portava dietro, a un passo da lui.<br />

Dicono che ognuno porti con sé le figurine del proprio<br />

destino. Infilando la mano nella tasca Nicola avrebbe ancora<br />

potuto porre rimedio a tutto; avrebbe scambiato<br />

quella del cane con quella dell’ombrello, ceduta all’istante<br />

e senza neppure controparte quella della torcia e per la<br />

gabbietta… per la gabbietta ne avrebbe accettata anche<br />

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