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Creaturine - Sardegna Cultura

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nera della notte quello di una donna incapace di trattenere<br />

la sua emozione di fronte al corpo del suo uomo, di<br />

fronte al dono e all’uomo che pareva emerso dal terreno<br />

come una scultura di sabbia e che ora stava lì al centro<br />

della notte e la osservava sorridente mentre l’anello fosforeggiava<br />

nella piega della gonna come un astro rubato<br />

al cielo.<br />

Ma si era quasi al trentasettesimo giorno oramai e allo<br />

scoccare del trentasettesimo giorno la storia dice che tutto<br />

doveva finire. Ed è la storia, e non altri, che tenne lontano<br />

Demetrio Pes in quel mattino, che tenne addormentata<br />

la ragazza più del previsto, che aprì la porta della<br />

stanza della madre come non avveniva da anni. La donna<br />

venne fuori dal letto come richiamata, attraversò i corridoi<br />

e la cucina, staccò il fucile dal chiodo, e una volta all’aperto<br />

si diresse verso la legnaia, in vestaglia da notte,<br />

scalza, gli occhi mangiucchiati dagli incubi, la ruga diagonale<br />

sulla guancia, i lunghi capelli sparsi sulle spalle<br />

grigi e leggeri come nembi di polvere. Varcata la soglia<br />

disse tre sole parole, le prime dopo anni, dopo mesi su<br />

mesi a formare la catasta degli anni di autoflagellazione,<br />

di percorsi ciechi in cui il pensiero si contorce su se stesso<br />

sino a riempire di nodi l’addome del ragno che ti fa compagnia<br />

nel letto. Venga, Fuori, Farabutto. Tre parole. Le<br />

prime tre dopo anni e anni di vicolo infinito e cieco. Vicolo<br />

infinito ma che sappiamo cieco. Anni a rodersi sui perché,<br />

perché è capitato, perché doveva accadere, perché<br />

era scritto? senza darsi pace, perché la pace è degli assolti,<br />

di chi ha saputo assemblare con saggezza le tessere del<br />

proprio danno sino a trarne un disegno amico; la pace è<br />

di quelli che sanno darsi pace, che contrattano la propria<br />

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salvezza, che convocano le forze avverse e se le fanno alleate,<br />

che sanno dialogare e riepilogare e hanno metodi di<br />

spurgo e di drenaggio per le lacrime, per le colpe, per le<br />

scorie, per tutti i detriti che si tira dietro una piena come<br />

quella che tutto travolge e sfigura al suo passaggio. Anni<br />

e anni circondata da suppellettili mostruose, specchi che<br />

non restituiscono l’immagine, pavimenti inclinati, armadi<br />

rigidi e immobili come sepolcri dove giacciono appesi<br />

alle grucce, inermi e senza più coscienza, gli abiti morti.<br />

Come un personaggio che sa dove deve andare non perché<br />

ne abbia la volontà, ma perché incanalato, indirizzato,<br />

guidato, perché tarato dalla storia dove tutto è già<br />

scritto, come l’attore che si muove sulla sua corsia verso<br />

l’indirizzo che riporta inciso sulla schiena Marta Giordano<br />

venne fuori dal letto, attraversò il tempo e varcò la soglia<br />

della legnaia col fucile spianato e gli occhi invasi di<br />

creature fantastiche; non un fruscio dai suoi piedi nudi,<br />

non un respiro che potesse annunciarla, non un gesto<br />

scomposto, non un’unghia a graffiare il ferro della canna,<br />

non una ciocca dei suoi capelli si smosse sulla spalla, i<br />

suoi capelli bianchi e grigi, figli della grazia diventati vecchi<br />

e deformi.<br />

Nicola però era un animale, una bestiola che viveva da<br />

quello, dal suo fiuto, parola scelta e dalla carne pregiata,<br />

e benché l’ora non fosse quella convenuta, benché non<br />

fosse lecito attendersi buone sorprese a quell’ora, disse<br />

istintivamente: – Bianca! – due volte. – Bianca… – e al<br />

non ricevere risposta capì immediatamente d’essersi tradito<br />

e non dovette aspettare molto perché la voce di Marta<br />

Giordano pronunciasse dopo anni e anni di silenzio le<br />

tre parole che, insieme alle altre che ne seguirono, l’a-<br />

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